Mirio Cosottini oltre ad essere un eccellente trombettista di spessore internazionale, è anche laureato in filosofia. L’esperienza di musicista e soprattutto di educatore è stata quindi condivisa con la preparazione filosofica ed è stata parzialmente raccolta in alcuni scritti che illustrano le esperienze fatte empiricamente nell’improvvisazione e soprattutto la ricerca di un modo nuovo di costruire l’improvvisazione stessa. L’amicizia intervenuta con lui mi ha spinto a chiedergli di pubblicare nuovamente alcuni dei suoi scritti su Percorsi Musicali, poichè ritengo che essi, oltre ad avere una chiara forza didattica, condividono anche certi concetti che vanno nel senso della comprensione dei caratteri dei suoni e delle sue pause, nell’attribuzione di un giusto peso all’interno di quella “eterna” diaspora che inutilmente vede l’improvvisazione scontrarsi con il concetto della composizione spontanea.
Ettore Garzia
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Lo studio del silenzio in contesti non lineari
(tratto dal seminario permanente di filosofia della musica dell’Università di Milano)
I risultati descritti in questo articolo sono il frutto della ricerca interna al GRIM (Gruppo di Ricerca e Improvvisazione musicale1) e degli incontri periodici che ho avuto con gli studenti Martina Frigo, Enrico Toffano e Francesco Grani che hanno collaborato alla stesura di questo articolo.
L’obiettivo della ricerca è studiare il rapporto fra suono e silenzio in contesti non-lineari. Nel suo libro The time of Music, Jonathan Kramer definisce la linearità come “la determinazione di una o più caratteristiche della musica secondo implicazioni che derivano da eventi precedenti”. La non-linearità invece come “la determinazione di una o più caratteristiche della musica secondo implicazioni che derivano da principi od orientamenti che governano un intero pezzo o una sua sezione”2. Le due nozioni non sono opposte e non si escludono a vicenda. Ogni brano musicale contiene elementi di linearità ed elementi di non-linearità; in generale, la tradizione musicale occidentale ha privilegiato la composizione e l’ascolto di musica fortemente lineare con caratteristiche di consequenzialità fra eventi musicali, svolgimento formale e temporalità unidirezionali. A partire dai primi del novecento le caratteristiche non-lineari della musica sono state oggetto di studio da parte di compositori, esecutori e ascoltatori. L’attenzione si è focalizzata su elementi musicali che permangono nel tempo, su eventi musicali autonomi e indipendenti, su strutture formali aperte e su temporalità statiche, discontinue e multidirezionali.
La nostra ricerca prende le mosse quindi dalla distinzione fra linearità e non-linearità e avviene grazie alla costruzione di esercizi d’improvvisazione musicale; essi contengono regole compositive3 che vengono espressamente enunciate grazie alle quali l’improvvisazione prende corpo. Tali regole sono l’ossatura dell’esercizio, esse non hanno un carattere drammaturgico o metaforico oppure derivante da ambiti extra musicali; esse riguardano i suoni e la loro organizzazione, e possono essere scritte in vario modo, testuale, in notazione musicale standard oppure grafico come si evince dalle partiture che seguono.
Questa impostazione ha determinato il prender spessore di una differenza qualitativa, fra l’esercizio di improvvisazione e l’esercizio di drammaturgia del suono. Molto spesso si utilizzano tecniche drammaturgiche per elaborare strategie d’improvvisazione. Questo avviene soprattutto in ambito didattico dove questa tecnica è molto affascinante e fruttuosa. Per quanto ci riguarda, elaborare esercizi d’improvvisazione con un’impalcatura drammaturgica significa avvicinarsi maggiormente a contesti sostanzialmente lineari. La drammaturgia del suono implica un’idea di svolgimento che il più delle volte ha un carattere teleologico che ci allontana dallo studio della non-linearità. Nella drammaturgia è implicita l’idea di narrazione e di consequenzialità caratteristiche dei processi lineari.Diversamente, il nostro approccio è stato di tipo fenomenologico: il metodo adottato nell’indagine sulla linearità si è svolto nell’ambito di una ricerca sulla fenomenologia del suono. Gli esercizi d’improvvisazione, per come li abbiamo concepiti, ci hanno consentito di porre “domande” al suono in termini musicali e di ascoltarne le “risposte” in termini di ascolto. Ma ciò che è più importante è che gli esercizi hanno una natura improvvisativa e non compositiva. Difatti l’improvvisazione apre molto più efficacemente alla non-linearità dal momento che implica temporalità proprie dei sistemi non-lineari (come ad esempio il tempo cosiddetto verticale)4. L’improvvisazione quindi ci porta verso la non-linearità e pone così la condizione fondamentale per continuare lo studio del rapporto fra suono e silenzio in tale contesto.
Il primo esercizio è chiamato Esercizio del cambio. L’ esercizio è importante perché mette in luce la differenza sostanziale fra linearità e non-linearità rispetto alla dimensione temporale, differenza che vedremo ha una funzione analoga anche per il silenzio.
L’esercizio è costruito sulla base di istruzioni testuali. Un direttore ed un esecutore si mettono l’uno di fronte all’altro. Ad ogni gesto del direttore (pulito, deciso, ed accompagnato dal movimento del braccio) l’esecutore esegue un brusco cambio di contenuto musicale.
Come esito del cambio di contenuto si percepisce una certa discontinuità. Appena un contenuto inizia a mostrare la propria forma questa viene interrotta dal cambio successivo. E’ un esercizio d’improvvisazione con una forma aperta dal momento che lo svolgimento musicale non ha un inizio e una fine stabiliti. Non solo, la sua struttura interna è decisa dal direttore e non predeterminata. È un esercizio che contiene una sola regola, quella del cambio di contenuto musicale. Possiamo dire che la regola del cambio è l’unica regola importante, regola che indirettamente stabilisce la forma aperta del brano. Il contenuto di ogni intervento musicale è frutto di improvvisazione. L’esercizio darà origine ad una composizione di forma aperta con contenuti indeterminati (improvvisati).
Abbiamo eseguito il brano facendo dei cambi di contenuto relativamente lenti. La linearità del brano emerge con molta evidenza. È chiaro che il decorso musicale subisce dei bruschi cambiamenti. Dopo un po’ questa condizione genera nell’ascoltatore l’idea che ad un cambio segua la presentazione di un nuovo contenuto (oppure che un nuovo contenuto sia conseguenza di un cambio). La percezione è quindi quella di uno sviluppo musicale lineare, prevedibile almeno nella forma del suo svolgimento. La discontinuità che genera il cambio di contenuto non è quindi una condizione necessaria e sufficiente affinché emergano relazioni non-lineari. Questa considerazione era ben nota anche a Jonathan Kramer. Difatti, oltre alla discontinuità è fondamentale la presenza di una regola che riguarda l’intero brano. Egli scriveva in riferimento ai mobile (come forma estrema del moment form in cui anche l’ordine dei moments è arbitrario e quindi il passaggio dall’uno all’altro molto discontinuo) “what such pieces may lack in linear logic they regain in a nonlinear logic of consistency (for example, similarity of texture or timbre) that makes the moments seem to belong to the same piece rhater than being just a jumble of unrelated exerpts”5 . Anche nel caso estremo dei mobile in cui il grado di discontinuità fra un moment e l’altro è molto elevato esiste qualche relazione (non-lineare) che riguarda tutti i moments affinché possiamo percepirli come appartenenti ad un unico brano. Più oltre scrive “… the moments must still seem to belong to the same piece: There must be a non-linear logic binding them together”6. Anche componendo i moments in modo cusuale (in modo che nessuna relazione sussista fra le sezioni del brano e quindi la discontinuità sia molto elevata) ciò non garantisce la percezione della non-linearità, “Using zeroth-order Markov processes does not garantee the perception of nonlinearity, however”7. In generale quindi alla discontinuità deve essere associato qualche principio (o regola) che riguardi l’intero brano o una sezione di esso affinché si possa percepire la non-linearità.
Abbiamo pensato a questo punto di riformulare l’esercizio in modo che il direttore generasse cambi di contenuto molto veloci. Tale scelta ci ha fatto supporre che riducendo il tempo dei momenti di improvvisazione l’esecutore non fosse in grado di produrre qualcosa di “sensato” musicalmente: mancando l’idea di svolgimento all’interno di ogni contenuto musicale, avremmo potuto supporre che la percezione di un cambio risultasse attenuata e che quindi fosse emersa la non-linearità. La non-linearità difatti esclude qualsiasi regola che stabilisce un qualche tipo di consequenzialità. Il risultato all’ascolto è stato molto chiaro: il tempo non sembra una funzione che “conduce” alla non-linearità. Contraendo il tempo non otteniamo condizioni di non-linearità.
Questo vale almeno se consideriamo il tempo in quanto tempo oggettivo, misurabile con un orologio, ovvero in quanto riferimento temporale passato-presente-futuro direzionale e discretizzabile, cronos per i greci antichi. Nessuna deduzione possiamo fare sulla natura del tempo proprio dei sistemi non-lineari ma di sicuro il tempo cronologico non consente il passaggio dalla linearità alla non-linearità.
La caratteristica distintiva degli eventi musicali fortemente lineari, è la loro consequenzialità/causalità . Nel caso del nostro esercizio, espandendo il tempo, scompare la causalità (emerge la discontinuità), ma non si entra nella non-linearità, perché si dissolve l’idea di unità del brano8. Quindi non è sufficiente la “non-consequenzialità” (e la discontinuità) degli eventi a far emergere la non-linearità, in sostanza non è sufficiente agire sull’asse del tempo. La non-linearità è fuori dal tempo inteso come successione, cronos. Smorzare la linearità contraendo il tempo (nel senso di ridurre la consequenzialità degli eventi per mezzo del loro infittirsi) non ci porta alla non-linearità, quindi, non ci può essere passaggio graduale fra linearità e non-linearità, ma solo un eterno iato, un gap che non può essere colmato gradualmente, ma che deve essere “saltato”.
L’obiettivo della ricerca è studiare il rapporto fra suono e silenzio in contesti non-lineari. Nel suo libro The time of Music, Jonathan Kramer definisce la linearità come “la determinazione di una o più caratteristiche della musica secondo implicazioni che derivano da eventi precedenti”. La non-linearità invece come “la determinazione di una o più caratteristiche della musica secondo implicazioni che derivano da principi od orientamenti che governano un intero pezzo o una sua sezione”2. Le due nozioni non sono opposte e non si escludono a vicenda. Ogni brano musicale contiene elementi di linearità ed elementi di non-linearità; in generale, la tradizione musicale occidentale ha privilegiato la composizione e l’ascolto di musica fortemente lineare con caratteristiche di consequenzialità fra eventi musicali, svolgimento formale e temporalità unidirezionali. A partire dai primi del novecento le caratteristiche non-lineari della musica sono state oggetto di studio da parte di compositori, esecutori e ascoltatori. L’attenzione si è focalizzata su elementi musicali che permangono nel tempo, su eventi musicali autonomi e indipendenti, su strutture formali aperte e su temporalità statiche, discontinue e multidirezionali.
La nostra ricerca prende le mosse quindi dalla distinzione fra linearità e non-linearità e avviene grazie alla costruzione di esercizi d’improvvisazione musicale; essi contengono regole compositive3 che vengono espressamente enunciate grazie alle quali l’improvvisazione prende corpo. Tali regole sono l’ossatura dell’esercizio, esse non hanno un carattere drammaturgico o metaforico oppure derivante da ambiti extra musicali; esse riguardano i suoni e la loro organizzazione, e possono essere scritte in vario modo, testuale, in notazione musicale standard oppure grafico come si evince dalle partiture che seguono.
Questa impostazione ha determinato il prender spessore di una differenza qualitativa, fra l’esercizio di improvvisazione e l’esercizio di drammaturgia del suono. Molto spesso si utilizzano tecniche drammaturgiche per elaborare strategie d’improvvisazione. Questo avviene soprattutto in ambito didattico dove questa tecnica è molto affascinante e fruttuosa. Per quanto ci riguarda, elaborare esercizi d’improvvisazione con un’impalcatura drammaturgica significa avvicinarsi maggiormente a contesti sostanzialmente lineari. La drammaturgia del suono implica un’idea di svolgimento che il più delle volte ha un carattere teleologico che ci allontana dallo studio della non-linearità. Nella drammaturgia è implicita l’idea di narrazione e di consequenzialità caratteristiche dei processi lineari.Diversamente, il nostro approccio è stato di tipo fenomenologico: il metodo adottato nell’indagine sulla linearità si è svolto nell’ambito di una ricerca sulla fenomenologia del suono. Gli esercizi d’improvvisazione, per come li abbiamo concepiti, ci hanno consentito di porre “domande” al suono in termini musicali e di ascoltarne le “risposte” in termini di ascolto. Ma ciò che è più importante è che gli esercizi hanno una natura improvvisativa e non compositiva. Difatti l’improvvisazione apre molto più efficacemente alla non-linearità dal momento che implica temporalità proprie dei sistemi non-lineari (come ad esempio il tempo cosiddetto verticale)4. L’improvvisazione quindi ci porta verso la non-linearità e pone così la condizione fondamentale per continuare lo studio del rapporto fra suono e silenzio in tale contesto.
Il primo esercizio è chiamato Esercizio del cambio. L’ esercizio è importante perché mette in luce la differenza sostanziale fra linearità e non-linearità rispetto alla dimensione temporale, differenza che vedremo ha una funzione analoga anche per il silenzio.
L’esercizio è costruito sulla base di istruzioni testuali. Un direttore ed un esecutore si mettono l’uno di fronte all’altro. Ad ogni gesto del direttore (pulito, deciso, ed accompagnato dal movimento del braccio) l’esecutore esegue un brusco cambio di contenuto musicale.
Come esito del cambio di contenuto si percepisce una certa discontinuità. Appena un contenuto inizia a mostrare la propria forma questa viene interrotta dal cambio successivo. E’ un esercizio d’improvvisazione con una forma aperta dal momento che lo svolgimento musicale non ha un inizio e una fine stabiliti. Non solo, la sua struttura interna è decisa dal direttore e non predeterminata. È un esercizio che contiene una sola regola, quella del cambio di contenuto musicale. Possiamo dire che la regola del cambio è l’unica regola importante, regola che indirettamente stabilisce la forma aperta del brano. Il contenuto di ogni intervento musicale è frutto di improvvisazione. L’esercizio darà origine ad una composizione di forma aperta con contenuti indeterminati (improvvisati).
Abbiamo eseguito il brano facendo dei cambi di contenuto relativamente lenti. La linearità del brano emerge con molta evidenza. È chiaro che il decorso musicale subisce dei bruschi cambiamenti. Dopo un po’ questa condizione genera nell’ascoltatore l’idea che ad un cambio segua la presentazione di un nuovo contenuto (oppure che un nuovo contenuto sia conseguenza di un cambio). La percezione è quindi quella di uno sviluppo musicale lineare, prevedibile almeno nella forma del suo svolgimento. La discontinuità che genera il cambio di contenuto non è quindi una condizione necessaria e sufficiente affinché emergano relazioni non-lineari. Questa considerazione era ben nota anche a Jonathan Kramer. Difatti, oltre alla discontinuità è fondamentale la presenza di una regola che riguarda l’intero brano. Egli scriveva in riferimento ai mobile (come forma estrema del moment form in cui anche l’ordine dei moments è arbitrario e quindi il passaggio dall’uno all’altro molto discontinuo) “what such pieces may lack in linear logic they regain in a nonlinear logic of consistency (for example, similarity of texture or timbre) that makes the moments seem to belong to the same piece rhater than being just a jumble of unrelated exerpts”5 . Anche nel caso estremo dei mobile in cui il grado di discontinuità fra un moment e l’altro è molto elevato esiste qualche relazione (non-lineare) che riguarda tutti i moments affinché possiamo percepirli come appartenenti ad un unico brano. Più oltre scrive “… the moments must still seem to belong to the same piece: There must be a non-linear logic binding them together”6. Anche componendo i moments in modo cusuale (in modo che nessuna relazione sussista fra le sezioni del brano e quindi la discontinuità sia molto elevata) ciò non garantisce la percezione della non-linearità, “Using zeroth-order Markov processes does not garantee the perception of nonlinearity, however”7. In generale quindi alla discontinuità deve essere associato qualche principio (o regola) che riguardi l’intero brano o una sezione di esso affinché si possa percepire la non-linearità.
Abbiamo pensato a questo punto di riformulare l’esercizio in modo che il direttore generasse cambi di contenuto molto veloci. Tale scelta ci ha fatto supporre che riducendo il tempo dei momenti di improvvisazione l’esecutore non fosse in grado di produrre qualcosa di “sensato” musicalmente: mancando l’idea di svolgimento all’interno di ogni contenuto musicale, avremmo potuto supporre che la percezione di un cambio risultasse attenuata e che quindi fosse emersa la non-linearità. La non-linearità difatti esclude qualsiasi regola che stabilisce un qualche tipo di consequenzialità. Il risultato all’ascolto è stato molto chiaro: il tempo non sembra una funzione che “conduce” alla non-linearità. Contraendo il tempo non otteniamo condizioni di non-linearità.
Questo vale almeno se consideriamo il tempo in quanto tempo oggettivo, misurabile con un orologio, ovvero in quanto riferimento temporale passato-presente-futuro direzionale e discretizzabile, cronos per i greci antichi. Nessuna deduzione possiamo fare sulla natura del tempo proprio dei sistemi non-lineari ma di sicuro il tempo cronologico non consente il passaggio dalla linearità alla non-linearità.
La caratteristica distintiva degli eventi musicali fortemente lineari, è la loro consequenzialità/causalità . Nel caso del nostro esercizio, espandendo il tempo, scompare la causalità (emerge la discontinuità), ma non si entra nella non-linearità, perché si dissolve l’idea di unità del brano8. Quindi non è sufficiente la “non-consequenzialità” (e la discontinuità) degli eventi a far emergere la non-linearità, in sostanza non è sufficiente agire sull’asse del tempo. La non-linearità è fuori dal tempo inteso come successione, cronos. Smorzare la linearità contraendo il tempo (nel senso di ridurre la consequenzialità degli eventi per mezzo del loro infittirsi) non ci porta alla non-linearità, quindi, non ci può essere passaggio graduale fra linearità e non-linearità, ma solo un eterno iato, un gap che non può essere colmato gradualmente, ma che deve essere “saltato”.
L’esercizio del cambio fa leva sul suono e sul senso che esso acquista rispetto all’alterazione temporale cronologica. Un risultato analogo lo possiamo ottenere se indaghiamo il rapporto silenzio/non-linearità anziché suono/non-linearità. A tal fine abbiamo elaborato tre esercizi d’improvvisazione. Le regole compositive ivi stabilite riguardano il suono ma intendono ricercare le caratteristiche del silenzio.
Il primo esercizio d’improvvisazione sul silenzio si chiama Grappoli9.
Il primo esercizio d’improvvisazione sul silenzio si chiama Grappoli9.
Abbiamo qui solo una sola regola compositiva: produrre agglomerati sonori di breve durata (intervallati da silenzi) Una regola volutamente generica, che non dice alcunché riguardo alla natura dei contenuti musicali impliciti in ogni grappolo; d’altra parte, il fatto di puntare l’accento sull’agglomerato, sul frammento nel suo insieme avvicina la genericità della regola alla dimensione propria dei sistemi non-lineari. Formalmente il grappolo somiglia molto all’idea del moment form di Stockhausen, ma essendo un prodotto di un processo improvvisativo non può essere stabilita a priori la relazione (o le relazioni) aggregante del moment (il gruppo d’improvvisazione nel momento in cui lo esegue pone in essere un elemento di permanenza che caratterizza quel grappolo, ad esempio una certa struttura ritmica, un agglomerato timbrico, una particolare ricorrenza melodica). Il grappolo diviene un moment nel momento stesso della sua genesi. Si potrebbe quindi dire che il grappolo è una sorta di moment di natura improvvisativa. Come abbiamo già detto la prassi improvvisativa tende a privilegiare temporalità che sono proprie dei sistemi non-lineari10. Il grappolo ci consente di guardare al fenomeno sonoro con gli occhi della non-linearità a partire dalla sua genesi e mostrarci un sicuro cammino nell’analisi del rapporto fra suono e silenzio.
Lo scenario musicale che ne risulta è composto da brevi frammenti musicali intervallati dal silenzio. Il risultato percettivo era già stato descritto da Kramer rispetto ad un brano del compositore Yehuda Yannay, Continuum del 1965. Anche in quel caso la musica suona distintamente come una serie di moments separati da vari silenzi. Ciò che emerge con molta chiarezza all’esecuzione di Grappoli è una forte discontinuità, elemento presente nei contesti non-lineari. Proprio il silenzio genera questa discontinuità. Il tipo di discontinuità che emerge tende a risolvere il rapporto fra suono e silenzio su di un medesimo livello. Il silenzio si manifesta come assenza di suono (suono svuotato), lo si percepisce come un silenzio fra suoni e sottostà alle stesse regole di comportamento dei suoni. La differenza dinamica fra suono e silenzio è talmente grande che i grappoli si percepiscono come suoni separatori di silenzio. Come i suoni anche i silenzi si allungano e si accorciano allo stesso modo. Come nel caso dell’esercizio del cambio abbiamo provato ad aumentare il tempo fra un grappolo e l’altro. Il risultato è la perdita dell’unità del brano ma non l’apertura alla non-linearità11.
Il secondo esercizio si chiama Other Machines.
Esso è basato su due regole: definire un elemento sonoro di sfondo e suonare frammenti sonori in superficie. Sulla base di queste due regole sono stati scritti numerosi brani musicali. Lo stesso Kramer nel suo libro spiega come la struttura “bordone/melodia” sia interessante per far convivere temporalità lineari e non lineari12. Se in Grappoli il silenzio era fra i suoni nel caso di Other Machines il silenzio accompagna i suoni, è sempre presente e sembra sostenerli. In Grappoli il silenzio si manifesta come assenza di suono. Questo fatto è dovuto anche a motivazioni dinamiche; la distanza dinamica fra suono e silenzio è talmente ampia che i grappoli sonori si percepiscono come suoni separatori di silenzio. Diversamente, il “bordone” di Other Machines innalza il silenzio e ne evidenzia la presenza “alle spalle del suono”13. Il rapporto fra la dinamica e il silenzio è importante e sembra essere decisivo nel costruire temporalità musicali eterogenee. Il divario dinamico talvolta suggerisce discontinuità ma fissa questa discontinuità all’interno di una stessa temporalità come nel caso di Grappoli. Al contrario, nel caso di Other Machines l’innalzamento del “rumore di fondo” (il bordone) mantiene la distinzione fra suono e silenzio, mantiene discontinuità negli interventi dei frammenti sonori ma in più crea due temporalità distinte e compresenti. Questi elementi evidenziano maggiori caratteristiche di non-linearità e fanno luce sul tipo di silenzio implicato in tali contesti. Il silenzio di Other Machines tende a manifestare caratteristiche generali, ad esempio non è ora presente ora assente ma è sempre presente; non si allunga o si accorcia ma rimane sempre uguale a se stesso. Non subisce variazioni sulla base di altri eventi sonori. Riassumendo, permane (rispetto al suo esistere), è fisso (rispetto al movimento) e invariante (rispetto alla sua qualità generale).
I frammenti sonori emergono in quanto suono grazie al fatto che il suono mantiene un sostrato di silenzio. Le due temporalità, quella lineare dei frammenti e quella non-lineare del silenzio, convivono e generano un fenomeno musicale all’interno del quale si dissolvono. Soffermare l’ascolto sui frammenti piuttosto che sul silenzio significa fare attenzione al suono piuttosto che al silenzio. Viceversa, ascoltare il silenzio di Other Machines significa fare attenzione agli elementi di non-linearità piuttosto che a quelli lineari. Se teniamo i due punti di vista separati diciamo che il suono acquista importanza ed emerge grazie al silenzio; se invece li uniamo possiamo semplicemente dire che il silenzio è il corpo del suono. Il valore di “è” in questa affermazione rispecchia la natura sintetica della percezione. Nella copula è presente un valore implicativo lineare per cui il silenzio implica il corpo del suono e viceversa, e un valore sintetico non-lineare per cui non c’è silenzio senza corpo sonoro e viceversa. In generale, il corpo è la caratteristica non-lineare del suono, il silenzio è la caratteristica non-lineare del suono, il silenzio è il corpo del suono. Se tengo separato il suono dal silenzio, il suono (come in Grappoli) può rompere il silenzio, separare più silenzi, oppure (come in Other Machines) stare sopra al silenzio, farsi accompagnare dal silenzio. Se penso al suono e al silenzio rispetto al medesimo fenomeno percettivo allora il silenzio diventa il corpo del suono.
Ogni suono ha caratteristiche diverse che sono la conseguenza del suo risuonare in un ambiente piuttosto che in un altro. In ogni suono possiamo leggere la materia grazie alla quale esso risuona, all’interno della quale esso risuona14. Il suono ha elementi che rispondono a processi lineari. Pizzicare una corda di violino significa produrre eventi che ricadono sotto tre eventi cronologicamente successivi, l’attacco (attack), la tenuta (sustain) e il decadimento (release). Le sue caratteristiche non-lineari dipendono dal suo timbro, dalle caratteristiche del legno, in breve dal suo corpo sonoro ovvero ciò che rimane invariato, ciò che permane attraverso l’avvicendarsi dei tre eventi. Ogni suono ha caratteristiche lineari e non-lineari allo stesso tempo. In generale, il suono ha come sua caratteristica non-lineare fondamentale il silenzio, grazie al quale esso risuona. Il suo corpo sonoro in generale è dunque proprio il silenzio.
L’ultimo esercizio sul silenzio si chiama Strati.
L’ultimo esercizio sul silenzio si chiama Strati.
Esso è definito da una sola regola: costruire una trama sonora densa e uniforme. A volte il suono mette a nudo il proprio corpo (il proprio silenzio) come nel caso di Other Machines. Non è il caso di Strati. Esso ci dice qualcosa intorno alla distinzione fra suono e silenzio se pensiamo al rapporto fra lineare e non-lineare, mentre ci informa intorno alla natura ambivalente del suono (ora suono ora silenzio) se superiamo proprio la distinzione fra lineare e non-lineare. La percezione che si ha ascoltando strati è di un brano fortemente non-lineare e questo paradossalmente grazie al fatto che le linee musicali che lo compongono sono fortemente lineari ma nel loro complesso uniformi e omogenee. Se vogliamo dare una valutazione estetica di strati dobbiamo dire senza dubbio che si tratta di un brano molto noioso, sia che io ponga attenzione alla sua natura contrappuntistica (invariante e monotona) sia che io ponga l’accento sulla sua principale componente di non-linearità, ovvero la sua omogeneità timbrica. D’altra parte l’ascolto di strati acquista nuovo interesse se le due temporalità non rimangono separate ma si integrano in una unica percezione. Strati è il brano in cui ci si deve gettare per non essere suono quando lui è silenzio, per non essere silenzio quando lui è suono.
Conclusioni
Alla luce della distinzione fra lineare e non-lineare abbiamo condotto un’analisi del silenzio. L’orizzonte della nostra analisi era circoscritto ai sistemi con caratteristiche fortemente non-lineari. La natura improvvisativa degli esercizi ci ha consentito l’apertura alla non-linearità e quindi un cammino sicuro nell’analisi del rapporto fra suono e silenzio che ha evidenziato tre tipologie fondamentali di silenzio, quella riconducibile all’esercizio Grappoli per cui il silenzio è qualcosa che il suono può rompere o annullare, quella che emerge dall’esercizio Other Machines per cui il silenzio è il sostrato dal quale il suono emerge e grazie al quale diventa suono ed infine quella di Strati in cui la distinzione fra silenzio e suono diventa difficile e pronta per essere superata.
Nell’ambito della distinzione fra lineare e non-lineare ha ancora senso parlare di rapporto fra suono e silenzio. L’apertura alla non-linearità ci permette di intravedere il limite di tale distinzione ai fini di un ascolto “imparziale” della musica, ovvero quello in cui le temporalità lineari e non-lineari convivono e i contenuti musicali perdono la loro identità. Un “frammento melodico”, riconoscibile e identificabile grazie ad un’analisi lineare del tessuto musicale diventa “varietà timbrica” se visto nel contesto di una temporalità non-lineare. Quel fenomeno percettivo è sia l’uno che l’altro. Il modo “giusto” di ascoltare quel fenomeno è probabilmente quello suggerito da Cage per cui “The wisest thing to do is to open one’s ear immediately and hear a sound suddenly before one’s thinking has a chance to turn it into something logical, abstract, or symbolical”15
Note
1 Per ulteriori informazioni www.grim-italia.org
2 Jonathan Kramer, The time of music, Schirmer Books, 1988, pag 145
3 Per comodità abbiamo deciso di non fare differenza fra regole compositive e regole di esecuzione, chiamando qualsiasi condizione vincolante la struttura, la forma e l’esecuzione del brano, una regola compositiva.
4 Si veda a questo proposito M. Cosottini, Non linearità per aprirsi all’improvvisazione musicale, Musica Domani, n.151, EDT, Giugno 2009, pag. 39-41.
5 J. Kramer, op. cit., pag. 50
6 J. Kramer, op. cit., pag. 52
7 J. Kramer, op. cit., pag. 63
8 Unità del brano che probabilmente deve tener conto degli elementi di permanenza che Kramer aveva individuato nelle regole generali che appartengono al brano nella sua interezza o a qualche sua sezione.
9 Grappoli utilizza una partitura grafica per visualizzare la regola dell’agglomerato sonoro. Vedi la partitura di seguito.
10 Per un approfondimento sul tipo di temporalità implicate nei processi improvvisativi si veda Ed Sarath,A new look at improvisation, in “Journal of Music Theory”, Vol. 40, n.1, 1996, pp. 1-38
11 Un caso simile di silenzio fra suoni è quello che possiamo ascoltare all’inizio del brano Nuovi topi ad UR incluso nel cd Cono di Ombra e luce della formazione EASilence uscito per Amirani records, Grimedia Records e Mediaducks. La struttura del brano è maggiormente lineare e gli interventi musicali non creano un senso di discontinuità, piuttosto di frammentarietà. Il silenzio fra gli interventi sonori è un silenzio teso, carico di consequenzialità, un silenzio che si allunga anch’esso come il suono e sembra preludere inevitabilmente all’intervento sonoro successivo.
12 J. Kramer, op. cit. pag 387 e anche la nota 39 a pag. 449.
13 La capacità di dare presenza al suono da parte della dinamica è un argomento che ho trattato in Young Bodies, Perspectives of New Music, Vol. 46 N.1, winter 2008. Inoltre, questo è un tema tipico della riflessione musicale indiana, che privilegia proprio quei momenti e quegli elementi di un’esecuzione musicale (rigorosamente improvvisata) in cui il nesso tra suono e silenzio si rende manifesto, come nel bordone (un suono costante che non contribuisce alla melodia), nella messa di voce (il momento in cui il suono si origina dal silenzio), nel riverbero (il momento in cui il suono persiste “nel” silenzio, come traccia). Praticamente tutta la metafisica musicale indiana è incentrata sul tema dell’origine dei suoni e dei silenzi da un primevo Suono indistinto (la sillaba om ne è il simbolo più famoso), che si colloca appunto in questa posizione “limite” tra il tutto e il nulla, tra il suono e il silenzio.
14 Per una trattazione affascinante e profonda intorno alla corporeità del suono vedi Carlo Serra, Musica Corpo Espressione, Quodlibet Studio, 2008
15 J. Cage citato in Michael Nyman, Experimental Music: Cage and Beyond. (New York, Schirmer, 1974)