Brice Catherin è un giovane compositore francese (1981) con relazioni di lavoro soprattutto in Svizzera, innamorato dello Stockhausen di “Aus den Sieben Tagen” e della pianista-compositrice russa Galina Ustovlskaya. In verità Catherin è un violoncellista moderno con multiple tecniche di estensione (è frequente l’utilizzo sia della bocca che dei piedi per dare voce a percussioni che accompagnano l’uso delle mani e di archetti speciali Cage-style in modo da consentirgli di pizzicare contemporaneamente tutte le corde del violoncello), che si sta facendo un nome anche con le arti visive, in particolare la danza e le installazioni con cui bazzica un campo invero sperimentato ma che gli dà molte soddisfazioni specie nelle esibizioni live. Brice ha fondato un ensemble chiamato Le Car de Thon attorno al quale vengono esplicate molte delle attività relative: si va da riproposizioni accorciate dello Stockhausen citato, varie installazioni in cui viene esaltata la dinamica spaziale degli strumenti in rapporto all’ambiente, libere improvvisazioni associate ad enigmatiche diapositive proiettate su schermi o libere danze contemporanee. La filosofia stravagante di Catherin e del suo gruppo è quella del coinvolgimento dello spettatore allo scopo di condividere nei limiti del possibile il proprio bagaglio artistico e fornire alcune chiavi d’accesso utili per l’esplorazione di quelle parti assopite dell’anima umana. E’ una specie di laboratorio dell’improvvisazione in cui si cerca di superare i limiti personali, in cui lo Stockhausen della musica intuitiva o il minimalistico impianto di una composizione di Morton Feldman siano i veicoli principali per approciarsi; Catherin ha comunque un suo status personale di compositore e musicista e questa pubblicazione per la netlabel Panyrosas “Number 3“, che viene presentata in una doppia versione (prima al piano e poi per violino e piccola orchestra da camera) è un primo segnale di maturità artistica: mettendo da parte le validissime riproposizioni di “Nos Meilleurs Stockhausen“, qui siamo in una consistenza compositiva diversa che è fatta di dissonanze cristalline che si uniscono (specie nella versione ampliata) a sintesi involontarie di barocco e avanguardia e che allontano il rischio di una sperimentazione non particolarmente eccitante.
Cagey House è invece lo pseudonimo artistico di Dave Keifer, approdato all’etichetta di Chicago dopo una serie già cospicua di registrazioni effettuate presso altre netlabels: in “Rock and feathers” si assiste ad un invitante esperimento di simulazione: una serie di diapositive costruite intelligentemente in formato frullato dove sono udibili note di piano e percussioni, flauti shakuhachi, suoni giocattolo, note di synth vaganti, campanelli, distorsioni elettroniche, etc. che ricostruiscono in maniera originale e musicalmente diretta l’argomento dettato dal titolo. Eloquente è la cover design di Brandi Strickland, una giovane artista il cui stile mi pare in simbiosi con le idee musicali di Keifer, offrendo un lavoro in collage dove i vari pezzi da incollare sono sensazioni del vissuto che si trovano in una gradevole collocazione che occupa i migliori posti della confusione organizzata. Keifer è un musicista tutto da scoprire.
Più convenzionale nella sostanza è invece “Refution of time“, un’improvvisazione con cadenze ritmiche molto vicine allo spirito free jazz, di un quartetto di eccellenti musicisti a nome Volcano Radar composto dai chitarristi Julia A. Miller (una delle migliori interpreti della scena avant statunitensi) e Elbio Barilari (musicista e compositore operante in Illinois) assieme a due giganti “misconosciuti” di Chicago (perchè con discografie da solisti quasi inesistenti), ossia i musicisti americani Harrison Bankhead al contrabbasso e basso elettrico e il creativo Avreeayl Ra alla batteria (quest’ultimo rintracciabile in alcune registrazioni di Sun Ra e nei dischi di Ernest Dawkins e Nicole Mitchell): basato su un tema relativo ad un saggio di Borges sulla sostanza del tempo, il quartetto trova una definizione caustica dell’argomento per fornire il pretesto ad un’unica composizione di circa trenta minuti ben congegnata tra impulsi free e svisate avantgarde non restituite al rumore (con tracce di prog-rock).