Contestualmente alla trilogia degli albums “russi”, Francois Carrier e Michel Lambert, a giugno del 2011, volarono una sera a Londra per suonare in favore del Conseil des arts et des lettres del Quebec: lì si unirono a due personaggi straordinari dell’improvvisazione, il contrabbassista John Edwards e al piano Steve Beresford: “Overground to the Vortex“, pubblicato per la cult jazz label polacca Not Two Records, è quindi la registrazione di quel concerto. Esso è strutturato in quattro parti e riflette piuttosto chiaramente le quattro diverse personalità artistiche dei musicisti: da una parte la vena lirica e senza respiro di Carrier (con quelle solite esaltanti punte drammatiche), il drumming caloroso ed itinerante di Lambert, il tono astratto e contemporaneo di Edwards (probabilmente il miglior rappresentante al mondo del suo strumento nel jazz) e il pianismo incosciente e senza geometrie di Beresford (che entra nel live show in “Archway”); è proprio questo incontro di caratteri variegati che costituisce l’arma vincente del set; in una creazione di inconsapevoli simmetrie di suoni, ne viene fuori qualcosa di molto speciale; se forse è difficile leggere una trama complessiva, è anche vero che “Overground to the Vortex” mette comunque in mostra la bravura dei musicisti che ha modo di esplicitarsi in alcuni passaggi esilaranti, in cui i partecipanti si cercano intuitivamente per unire gli sforzi improvvisativi (in “Bow Road” il trio Carrier/Lambert/Edwards viaggia quasi all’unisono nell’àmbito di dinamiche sonore particolarmente accattivanti). I venticinque minuti di “Archway” rappresentano il climax di “Overground to the Vortex“, dove ognuno si lascia andare alle proprie libertà improvvisative offrendo sonorità ricercate di vario genere, frutto di una dilagante urgenza di espressività non convenzionale; questo concerto si colloca nella migliore tradizione del free jazz, quella dove gli strumenti vengono percossi per dar vita a quel solito monumentale affresco che è la nostra vita.