Investita da una retorica ingiustificata la chitarra classica e quella acustica hanno accompagnato il musicista in più di un passaggio storico: quello che oggi si lamenta non è basato sulla proposta che, ancora oggi, gode di un buona “cassa” di risonanza (un pubblico educato), piuttosto le mancanze riguardano il tipo di proposta, le idee che attorno agli strumenti possono scaturire: tra i molti chitarristi sperimentali, Pablo Montagne sembra invece avere idee molto chiare sul da farsi: parafrasando il titolo del suo più recente cd per la Setola di Maiale “Cordale” si potrebbe pensare a “Fondale”, intendendo come egli cerchi di trovare nuovi suoni negli interstizi sonori delle corde, un pò come trovare conchiglie preziose o specie vegetali nei fondali del mare: è un chitarrista eclettico, preparatissimo, di quelli solo parzialmente vicino alle avanguardie di New York che aprirono nei settanta nuovi orizzonti specie nel settore chitarristico; infatti in una struttura che è a frammenti vengono coinvolti il feedback di Hendrix, gli accenti culturali nazionalistici in slide memory di Ry Cooder, le chitarre saturate del punk-rock post anni ottanta del movimento erosivo di Minneapolis (Husker Du, Meat Puppets e tanti altri appartenenti alla SST R.), i respiri di un chitarrista condiviso tra la passione classica e contemporanea. Ma quello che più emerge nella scrittura di Montagne è quella capacità di associazione delle immagini attraverso la musica che da sempre ne costituisce un pregio: nel suo “Crudités“ vi è la voglia di costruire simulazioni che non temono di essere anacronistiche: si pensi a “Error Rate“, “Homme en parachute“, “Pool of sand“, etc, che ricostruiscono l’azione attraverso suoni alterati che sposano una personale visione di rozzezza e cacofonicità; direi che in questo senso Montagne è un’evoluzione in positivo rispetto a quelle dei blasonati chitarristi americani a cui mi riferivo prima, che forse qualche crepa la contenevano in tal senso.
Il suo ultimo “Cordale“, però, ci riporta alla prefazione (in cui parlavo genericamente delle due chitarre -classica ed acustica-) che qui vengono usate da Pablo: 17 brani divisi in 10 con la classica e 7 con l’acustica portano l’ascoltatore in territori ancora più inusuali; in parecchie recensioni lette sul web sembra che l’indirizzo stilistico venga rivolto verso il minimalismo (almeno formale), ma personalmente penso che questa sia una forzatura nel caso di Montagne, poichè il suo scopo è evidenziare microstrutture o micro-variazioni ritmiche che non vogliono cogliere risultati partendo dalla tecnica e dall’utilizzo della ripetizione, nè tanto meno utilizzando phasing o costruzioni di muri di suono (come Branca e Chatam hanno insegnato); l’obiettivo è di cercare di scovare suoni “interni” restando fedeli e appiccicati allo strumento: “Cordale” pur lasciando spazio ad un cambiamento di intonazione delle due chitarre, proietta nella sua globalità un suono ipnotico che durante il percorso ci fa riconoscere modelli sonori lontani da quelli dei minimalisti recenti: in “Cordale #4” sentirete echi del ruscello spirituale di Fahey, in #5 quelli barocchi di un clavicembalo, in #13 sembra di assistere ad una versione di In C tutta artigianale, in #15 una simulazione di un gruppo funk.
L’unico appunto che si può fare (se di appunto si può parlare) è che in questo momento in tutta la sua produzione manca quel filtro per separare con efficacia le sperimentazioni più riuscite, il rischio costante di tutti gli sperimentatori, che gli permetterebbe di avere in mano la creazione perfetta.