Con netto anticipo rispetto ai tempi di pubblicazione ho il privilegio di spendere due parole su quest’ultima release discografica del duo Mirio Cosottini alla tromba (che in questo blog avete avuto modo già di conoscere per le sue vibranti disquisizioni sulle linearità dell’improvvisazione e la loro sistemazione grafica notazionale)* e il pianista Tonino Miano**. Per coloro che conoscono la musica dei due, “The inner life of residue“ è direi oggettivamente diverso dalle collaborazioni precedenti dei due, soprattutto nel raffronto con quel capolavoro che era “The curvature of pace“, in cui i due musicisti con un ampio ventaglio di esperimenti non convenzionali, sapientemente condotti sui rispettivi strumenti si addentravano nel campo della free improvisation con scelte così azzeccate che fin dal primo ascolto non ammettevano dubbi sul valore artistico dell’opera; “The inner life of residue“, però, è solo diverso nell’organizzazione della musica proposta, poichè quella freschezza di idee e di soluzioni musicali che caratterizzava “The curvature of pace” è alla base anche di “The inner life of residue“, essa è solo collocata in un’ambito diverso, più coerente con un idioma jazzistico; il solipsismo vissuto dai due musicisti che incredibilmente raggiungeva durante il percorso strumentale un punto di incontro unanime, viene accantonato, e specie per Cosottini ci troviamo di fronte all’altra faccia stilistica del trombettista che questa volta si formalizza sulla componente melodica della tromba, cacciandoci in una sorta di rincorsa ai riferimenti di stile che, se in prima battuta ed erroneamente, sembrano solo rifarsi a Davis e ai trombettisti americani degli anni cinquanta, in seconda battuta ci trasporta invece verso le tipicità del jazz inglese degli anni settanta (soprattutto nel riferimento a quell’aura di sentimentalismo algido proprio del fraseggio di Kenny Wheeler); ed è un Cosottini diverso anche dalle prove elettroacustiche dell’EASilence Trio, in cui la tromba, nello sforzo di attuare una sapida combinazione tra evocazione e silenzio, risultava essere quasi accademica (senza essere in nessun modo un espediente fine a sè stesso). In “The inner life of residue” c’è voglia di improvvisare per lasciare il segno: ci si potrà forse rammaricare di non poter ascoltare quelle splendide elucubrazioni di Cosottini in “The Hunt o “Nine years ago” che in “The curvature of pace” colpivano fortemente per le bellissime associazioni di prospettiva del suono, ma sarete ampiamente ricompensati da episodi come “Spoken to the wind“, “Plankton” o “The blue seed” in cui si è alla ricerca della nota giusta da inserire nello spazio acustico. E direi che Miano dà una splendida e definitiva prova del suo eclettismo di genere, che spazia nella letteratura pianistica (anche non jazzistica) di secoli, trovando sempre patterns e raggruppamenti di note che profumano di rinnovata voglia di espressione, sia che esse consistano in ruminazioni o atonalità sia che consistano in aperture più solari o reiterative di situazioni prospetticamente positive (fra tutte “Lost in love lost“). “The inner life of residue” perciò è un lavoro di jazz pronto per il formato esportazione, di quelli di cui un paese potrebbe vantarsi e non c’è dubbio che questo duo tromba-piano (binomio francamente poco sfruttato nel jazz) sta presentando alla comunità musicale due musicisti di spessori, che si impongono non solo per le loro caratteristiche e la loro bravura (la profondità e l’adattabilità della tromba di Mirio è un dato di fatto, ormai capace di riconfigurarsi a seconda degli obiettivi e dei progetti intrapresi, così come le textures variopinte di Miano ne impongono la sua statura), ma anche per il fatto di averla spalmata nelle varie diramazioni del jazz, dalla libera improvvisazione al modern jazz fino alle possibili intersezioni con il mondo classico.
Note:
*vedi su questo blog al link argomenti “Didattica dell’Improvvisazione”
**ancora su questo blog per Miano (con Groder) vedi “Fluidensity”