Jemeel Moondoc & Connie Crothers -Two-
Il mondo della musica spesso ci insegna che in esso hanno transitato personaggi in possesso di talento e qualità, ma che poi per un motivo o per l’altro, hanno dovuto intraprendere altre strade e spesso il “rientro” nel mondo musicale non arriva più. Non è questo il caso! Per il sassofonista Jemeel Moondoc (1951) questa collaborazione con la pianista Connie Crothers (un’altra illustre desaparecidos del jazz), potrebbe avere quel sapore della riaffermazione ufficiale: Moondoc, stilisticamente vicino ad un melodico Jackie McLean, è stato un sassofonista alto che si mise in evidenza suonando negli anni settanta con Cecil Taylor e poi formando un gruppo a New York in cui aveva coinvolto William Parker, Roy Campbell e Rashid Bakr (Ensemble Mutu): poi, evidenti problemi finanziari lo fecero scomparire nell’oblio e lo costrinsero ad un altro lavoro. Ma la passione per la musica è dura a morire e nel 1996 Moondoc ritornò a registrare, sebbene il jazz nel frattempo si era evoluto e non dava più molto spazio a quel tipo di proposta costruita su un free jazz di prima istanza. Connie Crothers (1941) è invece un’allieva di Lennie Tristano e nel suo pianismo si sente tutta l’obbliquità che il pianista americano aveva costruito interponendosi tra pensieri moderni del novecento (in merito all’utilizzo di giri pentatonici o esatonali) e le prime forme libere del jazz. Connie diventò, dopo la morte di Lennie, la direttrice della sua fondazione. Senza volutamente addentrarmi nella riscoperta di questi due jazzisti, “Two”, esibizione effettuata nel Loft della Crothers, mi dà l’occasione per segnalarvi un classico disco di improvvisazione jazz, di quelli difficili da trovare in giro e di cui abbiamo bisogno ogni tanto per rassicurarci, dove i due regalano quelle atmosfere indomite, impressioniste, che non subiscono l’obsolescenza dei tempi.
Joelle Léandre & Jérome Bourdellon -Evidence-
Gli standards di Joelle Léandre ci hanno ormai abituato ad un canovaccio che spesso si ripete nelle sue improvvisazioni: si tende al dialogo con il/i partners, si riserva uno spazio per almeno un brano da svolgere in solitudine, si preservano gli elementi stilistici con temi ricorrenti; in questa nuova collaborazione con il flautista/clarinettista eclettico Jérome Bourdellon, l’impianto musicale della Léandre è al servizio di questo musicista semisconosciuto (se non negli ambienti della improvvisazione) che si inserisce, suonando in tonalità diverse degli strumenti, in un rapporto, quello tra contrabbasso-flauto specialmente, che nella storia del jazz e in quella di Joelle sono stati poco battuti come sentieri di interazione; se personaggi come Eric Dolphy e Roland Kirk hanno aperto le strade della contaminazione tra improvvisazione jazz e afflati classici, altri come James Newton hanno approfondito le possibilità “creative” del flauto restando casi quasi isolati di sviluppo; inoltre Joelle ha collaborato con molti flautisti contemporanei provenienti dal mondo accademico, ma nell’improvvisazione libera se si considerano le collaborazioni trasversali fatte con Vinny Golia e Nicole Mitchell recentemente (queste ultime in trio), quella dell’esperienza in duo è la prima volta che viene praticata. In “Evidence“, le sette tracce presenti vi pongono in particolari stratificazioni di pensiero e d’animo che vanno dall’incontro riflessivo al dialogo composto da fonemi disgiunti e vocalizzi estemporanei, da stati di ipnotismo ad epidermiche situazioni del suono (usuali per la Lèandre) che hanno una caratterizzazione quasi “psichedelica”. E’ un’ottima dimensione quella raggiunta dai due, discorsiva, affascinante, basata essenzialmente sui suoni, che vi spingerà a scoprire meglio il talento di Bourdellon, le cui poche incisioni lo vedono al fianco di Joe McPhee, Frank Wright, Raymond Boni e Thomas Buckner (in un installazione come supporto alle sculture di Alain Kirili). Inoltre esiste anche un rappresentativo solo del 1995 “Trajet solo“, di cui qualcosa è disponibile per l’ascolto sul suo sito).
Joe Morris, Agusti Fernandez, Nate Wooley -From the discrete to the particular-
Due personaggi importanti dell’improvvisazione (il chitarrista Joe Morris e il pianista Agusti Fernandez) si incontrano con una dei migliori trombettisti in circolazione, Nate Wooley. “From the discrete to the particular” ricrea subdolamente un’ambiente di vita, quello che ognuno di noi sente nelle giornate a volte caotiche, a volte prevedibili e che ci rendono sopportabile la quotidianeità. I tre si muovono nei meandri del jazz e dell’improvvisazione libera affermando questi principi, talvolta unendosi in massa e in maniera da provocare confusione (“Automatos” vi incanala in questo flusso creativo, in cui sembra di assistere ad uno spettacolo di funambolismo), talvolta in gesti singoli sovrapposti secondo le regole e l’ordine del jazz, con Fernandez e Wooley partecipi nella gestazione di ottime parti solistiche che sono qualcosa più della semplice riflessione (“Bilocation”); Morris invece svolge un prezioso lavoro di deformazione dell’ambiente musicale, con il suo chitarrismo completamente atonale e non convenzionale (“Hieratic” e “Membrane” vanno in questo senso sebbene forniscano un difficoltoso metodo di lettura).