E’ un dato di fatto la circostanza che gli uomini diano il proprio meglio nei momenti di difficoltà. Sebbene nelle arti questa considerazione sia non proprio calzante, è comunque evidente come in molti casi gli artisti (e quindi anche i musicisti e compositori) abbiano partorito le loro migliori opere dopo essere passati per eventi gravissimi della loro vita: un lutto a loro molto vicino, una riemersione a livello umano e sociale da situazione sregolate di vita, etc. Sperimentare l’amarezza, il dolore diventano dei boomerang meravigliosi di espressione. Al contrario, direi che sono certamente pochi coloro che deliberatamente godono di un “sollievo” durante queste vicissitudini umane: tra i giovani musicisti perfettamente integrati nell’ottica dell’elettronica da computer e nella deflagrante società europea odierna, sembrano affascinare le dichiarazioni di Bobby Krlic che in un intervista a proposito del suo ultimo “Excavation” sotto lo pseudonimo di The Haxan Cloak ha ammesso: …”Io non sono una persona triste od oscura…la mia vita personale è molto felice, ma io credo che si possa trovare conforto nel disagio. Attraverso la musica, esploro quello spettro…..(trad. da un recente intervista fatta da The Stool Pigeon al musicista). E’ una affermazione particolarmente carica di significato, poichè dimostra che l’oscurità nella musica è un concetto tutto da dimostrare: in Excavation, specie per coloro che non soffrono di preconcetti, il clima è piuttosto brillante perchè alla fine quella che ne esce vittoriosa è la musica; l’intento è costruttivo, alla ricerca di una luce, di una speranza già in fase di sofferenza. Trovare suoni giusti e “positivi” può rendere la trama oscura della musica molto meno deprimente di quello che si pensa; non è una questione di retorica nè si tratta di fare affermazioni anacronistiche, la verità sta nella ricerca e nell’esplorazione dei suoni.
Nuove applicazioni dell’energia sonora: The Haxan Cloak e il suo “Excavation”
Il clima orrido con cui veniamo introdotti in “Consumer” è basato su una riesposizione personalissima della frequenza del basso condito ad un detonatore di effetti e suoni: quella carica di basso apocalittico ritorna continuamente con una potenza incredibile quasi prefigurare una nuova legge di risonanza acustica (se avete delle buone cuffie stereofoniche, quel basso trapasserà acusticamente le vostre orecchie per raggiungere il corpo), ma presenta durante lo svolgimento dei brani una linea ben articolata di soluzioni sonore, che stanno tra sonorità sorde, rumori eclatanti da thriller cinematografico a sfondo psicologico e manipolazioni vocali che vogliono incutere sofferenza controllata, ma resta speciale la loro inserzione che si presenta attiva, fantasiosa e senz’altro lontano da qualsiasi intento depressivo. Siamo lontani sia da improbabili esposizioni horror, sia da cupe e violente espressioni musicali; sulla base della tecnologia disponibile, senza dubbio queste evoluzioni “calibrate” del musicista inglese, completamente interagenti nel dub, nella techno e nel doom, potrebbero essere l’equivalente compositivo di un compositore contemporaneo d’avanguardia (1): se la vicinanza al concetto compositivo si coglie maggiormente negli accenni sintetici di violino, meravigliosamente applicati a ripetuti colpi percussivi e rumorosità apocalittiche (essi sono uditi soprattutto nella conclusiva “The drop“), è nel complesso che si trova la dimostrazione di come con creatività si possa costruire, su un terreno rappresentativo diverso, un’arte sonora oggettiva che insiste sui suoni, che cerca attraverso la loro esorcizzazione di ricavare una buona novella da una siffatta e apparentemente imperscrutabile materia.
(1) Sempre intervistato Bobby dichiara:
“I’d like to imagine I’m more a composer than a producer,” he says, “but I’ve got a lot of dance music tendencies. People say, ‘I bet you just sit in and listen to Penderecki and Shostakovich all day,’ yet I’ve always been into rap, techno, and so on. At uni, all I wanted to do was make techno.”