Il pianista californiano Thollem McDonas è uno degli improvvisatori al piano più ammirati al mondo; teorico della musica e scrittore delle sue esperienze Thollem ha organizzato vari progetti musicali tra cui uno dei più importanti è stato quello dell’orchestra Estamos, un ensemble composto da eccellenti e noti musicisti dell’improvvisazione tra l’area di Los Angeles e quella di confine messicana, allo scopo di far emergere le indiscutibili potenzialità di zone della musica parecchio trascurate. Con i suoi progetti McDonas ha da sempre voluto sottolineare uno scopo geopolitico, oltre a quello ordinario basato sulle ordinarie capacità traslatorie dell’improvvisazione: l’Estamos in questa nuova registrazione “People’s historia” si riduce ad un trio, dove assieme a lui, troviamo la cantante Carmina Escobar e il percussionista Milo Tamez; “People’s historia” vuole essere una sorta di campanello d’allarme per scuotere le coscienze su quelle zone dell’America caraibica e meridionale dove per vari motivi si sta perdendo il linguaggio primordiale indigeno (in questo caso l’Arawak) che appartiene a vaste frange di quelle popolazioni: se i giovani e i bambini non riusciranno a fare propria questa semplice e meravigliosa forma di linguaggio nella loro quotidianeità l’Arawak, come tanti altri linguaggi, è destinato a scomparire. Questo messaggio è volutamente ed implicitamente richiamato nelle note di copertina da William Parker che ne dà un inevitabile epitaffio nella sua visione spirituale che sembra già acclarare la scomparsa “.…Man did not invent music.. it was here when we arrived and will be here after we have died…”
I dodici brani qui presenti (che semplicemente ripropongono la numerazione Arawak) si intrufolano in un coacervo cosmopolita, dove è possibile udire flash musicali che ci portano in varie zone geografiche della memoria, e dove il tutto viene ad un certo punto aggredito dal sentimento di sofferenza degli artisti: echi di confusione onomatopeica di canterburiana provenienza, del Debussy pianistico (McDonas suonò ispirandosi al francese nel disco profuso con la collaborazione del compianto Scodanibbio anch’egli grande estimatore della terra messicana), di liofilizzazioni d’oriente, di rielaborazioni convulse di elettronica, di registrazioni di campo con le prospettive dei sonagli caraibici, di avanguardia vocale a disposizione dei temi.
In definitiva un disco splendido, pienamente centrato nel fornire attraverso l’improvvisazione quelle sensazioni interiori di fierezza ed orgoglio ma anche di confusione e di impotenza che servono per definire un tema a cui tutti i cittadini del mondo dovrebbero interessarsi.