The rediscovery of the early works of Forrest Fang

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Seguendo il mio accorato appello in occasione della recensione di Animism, la Projekt ha provveduto a ristampare quasi tutto il fuori catalogo del musicista Forrest Fang: vengono ristampati Migration in una doppia raccolta con uno dei più acclamati albums di Fang, The wolf at the ruins e solo in versione digitale, l’album Some brighter stars.
Migration
Titolo impegnativo trattato con una musica semplice, estatica. Mettendo assieme i giochi elettronici di Terry Riley, le ricercatezze strumentali di gente come Genesis o Mike Oldfield e qualche drone, Fang ottenne un primo maturo prodotto di elettronica. In Migration Fang scriverà alcuni dei suoi più belli brani di tutta la sua carriera: Through a glass landing mette assieme un orgasmo pianistico carico di atmosfera con un risvolto di elettronica synth degno di Terry Riley. Il Riley simil-oriente ritornerà nelle digressioni di chitarra folk di Peru confondendosi nelle maglie di Oldfield; Comfort e Second Impression hanno echi progressive (soprattutto la prima ricorda i campanelli-carillon della Musical box dei Genesis), effetti intermittenti disegnano la Before Sunrise, mentre Gradual formation in sand, è un sibilo quasi a voler annunciare velatamente i primi paesaggi oscuri dell’artista; Lowland dream invece presenta formazioni percussive tibetane all’introduzione seguite da un estatico e felice passaggio di drone corroborato da vibrafono.
In quel periodo Forrest voleva conquistare uno spazio più ampio nell’àmbito dei processi di interpretazione del genere elettronico e lo volle fare con efficaci e semplici soluzioni, che sebbene pescassero in modelli prestabiliti avevano una loro autonomia concettuale tale da porre questi suoi primi lavori sullo stesso piano dei primi lavori di un Roach, di uno Schulze o di un Deuter, degni di un rispetto riservato ai precursori e come tali devono essere rivalutati.
The wolf at the ruins
Con questo disco Forrest maturò il suo cambiamento nel modo di suonare: diminuì teorie e certezze dell’Occidente per aumentare il suo carico di provenienza orientale. La splendida The Windmill ci fa subito assaporare, attraverso le microtonalità di un chitarra, nitide scene di vita appartenenti ad altra cultura, ma anche l’uso dei violini, marimbe e percussioni tradizionali partecipano alla chiara virata che Fang compie verso operazioni che si accostano alla sua etnia rispettando il calore acustico degli strumenti. Lo scopo di Fang è di creare un benessere new-age (a volte tenendo ben chiaro in mente il trascendentalismo orientale), con un suono raffinato e moderno in cui sono le diversità di soluzioni che ammiccano e sfiancano, per la loro bellezza ed enigmaticità, le difese dell’ascoltatore. Mettere assieme la magia di mondi culturali diversi diventa il suo pallino. Non erano certo in molti ai quei tempi a fornire prodotti di etno-elettronica così sapientemente dosati nelle costruzioni e nelle proprietà (sentite la splendida The luminous crowd): questi suoni così penetranti scardinerebbero le difese di qualunque formalista della musica.
John Fahey fa capolino nella lunga digressione di An amulet and a travelogue, dimostrando come la visuale panetnica di Forrest sia molto più bilanciata di quanto si crede e non sembra essere quella di un puro orientalista. Ma è solo un’impronta quella di Fahey, poichè il brano è un pozzo di ricercatezze: nella parte centrale vi sono persino delle sorde “visioni” di suono quasi industriale, ottenuto unendo varia strumentazione “tradizionalista” con l’elettronica sintetica: il brano vi conduce in meravigliosi territori sonori tutti da metabolizzare. Karina waits at the window è incredibilmente medio-orientale. Naturalmente non mancano i riferimenti al drone (anche in formato progressive) dei lavori precedenti: le lunghe Passage and ascent e Silent fields sono interamente incentrate sull’elettronica e sulle caratteristiche di Eno. In generale tutta la parte finale del disco dimentica l’impostazione etnica per concentrarsi sull’estaticità e sul rilassamento fornito dal drone. E’ un aspetto che Forrest perderà subito dopo nei dischi successivi e che invece si riproporrà da Gongland in poi ma in maniera nettamente più cupa. Ed è anche l’aspetto che esclude che The wolf at the ruins possa considerarsi come ad un album di transizione.
Some brighter stars
E’ il secondo album della carriera di Forrest Fang pubblicato privatamente nel 1982 in una tiratura di circa trecento copie: Some brighter stars precede Migration ed è un contenitore musicale simile a quello: tuttavia, seppur i suoni sono ancorati a stili conosciuti, Some brighter stars è utile per capire che aldilà di possibile ingenuità Forrest era già un talento nel scrivere musica: egli poteva essere considerato un ulteriore esempio dell’opinione  diffusa che, anche attraverso le tastiere elettroniche era possibile riprodurre i caratteri classici della musica (fughe, sinfonie, cameralità); sebbene Some brighter stars non possieda quel carattere evocativo delle grandi opere del genere, si distanzia comunque dalla media fornendo un ottimo esempio di come alla fine sia importante imbastire soluzioni credibili per avere formule musicali vincenti. Come per Migration, Some brighter stars è album fortemente da rivalutare.

P.S. Ora manca all’appello solo il primo album di Fang, Music from the Blackboard Jungle, duecento copie pubblicate nel 1980.

 

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.