“…with a path addressed toward a personal way to hear the scores, the composer has revitalized authors like Copland, Bartok or Hindemith without being in any way a replica, especially with the string instruments Higdon has coined a compact, pasty and multi-style form of writing , which is well thought out to provide spontaneous emotions in adherence on the subjects / objects represented by the scores…..”
“……Along with String Trio, the highlight of the collection is Sky Quartet, a composition in four movements that reflects Higdon’s will to represent musically the wonders of the Colorado’ skies: in this piece Serafin String Quartet reaches a remarkable peak of musical expression and provides an excellent tour in a romantic-impressionist style (intended as colors, not in duration) that you would listen endlessly; you perceive the shapes of clouds that open to lovely sunsets or instead come together in a rigid and fluctuating structure, reflecting a belligerent weather event…..”
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Talvolta sono stato criticato per il mio atteggiamento accondiscendente verso musiche e compositori non allineati alla contemporaneità, non comprendendo fino in fondo il mio pensiero: in verità chi può affermare che tutto il polistilismo degli ultimi trent’anni non sia anche un trend del nostro tempo? Dobbiamo considerare “nuovo” solo la frammentazione dei suoni e magari trascurare quello che è ancora la nostra società? Soluzioni effervescenti possono provenire dall’intera gamma dei suoni, anche da coloro che costituiscono versioni particolarmente attraenti degli stili intervenuti nella storia della musica. Jennifer Higdon, compositrice che in questo sito ha avuto già le mie gratificazioni per i suoi lavori, è una di quelle che ben si adattano alla considerazione fatta pocanzi: modulando il proprio percorso verso un personale modo di sentire le partiture, la statunitense ha rivitalizzato autori come Copland, Bartok o Hindemith senza però essere in nessun modo una replica; soprattutto nel comparto string la Higdon ha coniato una forma di scrittura compatta, pastosa e multistilistica, ben congeniata per offrire emozioni spontanee e ben articolate rispetto ai soggetti/oggetti che si vogliono rappresentare attraverso le partiture. In questo ulteriore volume di “American Classics” vengono selezionati alcuni dei lavori da camera più interessanti della compositrice, con un occhio rivolto alla fase di germinazione artistica: è inutile rimarcare come già in composizioni come lo String Trio (in cui la preoccupazione della Higdon verso la diminuzione di un violino probabilmente costituisce il suo punto di forza poichè aumenta la coesione dell’impasto con viola e cello) si noti una debordante maturità: appartenente alla scrittura atonale di Jennifer (che non è il centro di focalizzazione della sua musica), rivela una bellezza adamantina in quella grazia di suono di diciotto minuti che riescono a fornire gli strumenti, ed era solo il 1988. Lo String Trio prevarica la Sonata for Viola and piano (forse troppo irrigidita negli schemi) e la versione per string quartet di Amazing Grace (una delle meno retoriche che abbia mai sentito). A fianco dello String Trio, qui, il pezzo forte della raccolta è lo Sky Quartet, una composizione in quattro movimenti che riflette la voglia della Higdon di rappresentare musicalmente le meraviglie dei cieli del Colorado: vero punto di forza il quartetto del Serafin String Quartet raggiunge un picco espressivo notevole, fornendo un sapido tour in stile romantico-impressionista (nei colori e non nelle durate) che riascoltereste all’infinito: si va verso le forme delle nuvole, quelle si aprono davanti a tramonti incantevoli o che invece si uniscono in una struttura irrigidita e fluttuante di un evento atmosferico belligerante. Bartok si commuoverebbe per il lavoro efficace sui ritmi, lavoro che ritorna utile anche in Dark Wood, la composizione che la Higdon ha scritto pensando al fagotto, alle sue capacità intrinseche di virtuosismo mai acclarate completamente; la contrapposizione del fagotto messo in contrasto con il quartetto d’archi e un pò di presenza pianistica è senz’altro qualcosa di non molto convenzionale, ma la compositrice cerca di filtrare i messaggi ritmici attraverso una condivisione allo scopo degli strumenti: quello di accompagnare una passeggiata d’apprendimento di vita in un bosco sorprendente.