“……From the musical point of view, in Strathclyde n. 5 the classical influences are mixed without slavishly provide those ancient models, the feeling evocated in the three movements of piece is the instrumental “strangeness” which is within the spirit of Mozart, Haydn and even Ban, magnificent polyphonic lines with inlay that keep you on mental pressure, developping their reflective task….”
“….Supported by a great score on the flute, the concert no. 6 reveals its modern instinct, a writing with a bland serialism which reproduces the theme of the painting by Bruegel, but as well as on the left side of the painting is observed a relaxing lake that gives a man the hope of eternal contemplation, similarly, in the deep flowing of the concert’s movements, Maxwell Davies is able to bring out the same hope by using only a simple musical score……”
___________________________________________________________________________IT
Come già detto in occasione di un mio scritto per la ristampa dello Strathclyde concerto n. 2, il compositore Maxwell Davies ha incredibilmente profuso per l’intero ciclo commissionatogli una profondità artistica non indifferente che probabilmente si sposa con uno dei suoi picchi compositivi: in questi concerti si respira quell’aria benefica di arte che si introduce nella musica, che tende sia esteticamente che nei risultati concreti a creare quello spazio di eternità che le nostri menti cercano per attribuire un senso alle nostre osservazioni; qui si parla degli Strathclyde n. 5 e 6, dove il primo è dedicato al connubio viola-violino mentre il secondo al flauto. Stando alle note interne, il concerto n. 5 si è basato su alcune fonti artistiche ispirative: il riferimento principale è alla “Sinfonia Concertante” di Mozart, mentre per ciò che concerne i rapporti armonici e le textures il riferimento è ad una ouverture di Haydn (“L’isola disabitata“) e ad una composizione di un dimenticato compositore olandese dell’inizio del seicento, Joan Albert Ban; la composizione in questione è “Vanitas“, un componimento vocale a due voci che Peter ha portato alla luce dopo essere stato affascinato dalla scoperta del manoscritto in un dipinto di natura morta di Dirck Matham del 1622, in cui, assieme alle altre vanità umane, compare un libro aperto con la riproduzione della composizione di Ban: ci sono bottiglie o alimenti che riconducono al bere o al cibo, degli strumenti a corda che invocano la vacuità temporale della musica, così come in lontananza si scorge una finestra al di là della quale si intuisce uno spettacolo o comunque un’aggregazione che riconduce alla brevità dei consensi; dal punto di vista musicale le influenze citate si sommano al punto però di non fornire pedissequamente quei modelli, quella che si forma nei tre movimenti è quella solita “stranezza” strumentale che è dentro lo spirito di Mozart, Haydn e anche di Ban, magnifiche linee polifoniche ad intarsio che vi tengono sotto pressione mentale, esplicando il loro compito riflessivo. L’accento madrigalista dell’olandese non è casuale ma sembra aver ispirato anche il concerto n. 6, dove il riferimento pittorico allo splendido dipinto “I giochi dei bambini” di Bruegel, ha guidato quanto meno i temi: sebbene arrivato oltre sessanta anni prima delle Vanitas di Matham (1560), questo riferimento fiammingo ripropone, attraverso gli ottanta giochi delle plurime figure del quadro, la ripetitività delle azioni dell’uomo e in definitiva la loro caducità; sorretto da una splendida partitura al flauto, il concerto n. 6 si impone per un istinto moderno, una scrittura con blandi caratteri di serialità che sconta caratterialmente il tema del dipinto di Bruegel, ma così come nella parte sinistra del dipinto si osserva un lago rilassante che dona ad un uomo la speranza della contemplazione dell’eterno, così nel fluire profondo dei movimenti che la compongono, Maxwell Davies è capace di far emergere quella stessa speranza solo partendo da una semplice partitura musicale.