Jean Luc Ponty concluse le sue migliori esperienze con il violino elettrificato dopo aver portato alla luce le possibilità melodiche dello strumento e aver trovato le connessioni con il contrasto ritmico. Da allora sono sorte molte imitazioni, che pian piano hanno ceduto parzialmente il passo quando nella musica è incalzata la sonicità e la ricerca sui timbri. Da quel momento le strade si sono divaricate: da una parte i violinisti hanno implementato il fattore suono, cioè hanno cercato di ampliare le prospettive degli strumenti tramite una loro sovraesposizione, ottenuta attraverso l’intervento sempre più pressante di dispositivi elettronici da abbinare all’usuale e tradizionale modo di suonare, dall’altra hanno prodotto vere e proprie modificazioni che hanno reso irriconoscibile il timbro originario dello strumento.
Naturalmente c’erano anche coloro che proponevano vie mediane ed alternative, che attribuivano al violino un ruolo particolare nello sviluppo dei temi: le esperienze trasversali provenienti da una certa fetta del rock dei sessanta fatte da John Cale (anche attraverso i Velvet Underground) e i labirinti minimalisti costruiti da Tony Conrad avevano il compito di dirigere lo strumento verso l’acquisizione di una sorta di pass-partout della mente: è proprio su questa linea che si muovono le ultime vicissitudini del violinista Cornelius Dufallo, nell’equilibrio di mezzi e risultati che risulta da “Bass Violin“, un compact disc ad edizione limitata che lo stesso Cornelius mi ha segnalato, in compagnia del bassista Patrick Derivaz, conosciuto per aver lavorato con Tom Verlaine (nel “Songs & other things“) e Philip Glass (nella soundtrack di “Secret Agent“); l’atmosfera oscura, penetrante ed ipnotica imposta dal basso di Derivaz, assieme a qualche loop elettronico, fa da base per le evoluzioni elettrificate di Dufallo che lo sistema ad un livello tale da farlo apparire stridulo e coinvolgente; è evidente come entrambi i musicisti abbiano un riferimento a quell’ala storica della musica che, partendo dalla New York musicale esplosa negli anni settanta e divisa tra evoluzioni punk, sferzate minimalistiche e poesia oscura si spinge fino a ricomprendere certe austerità classiche.
“Bass Violin” ha quindi l’identità di nomi e generi succitati in forma di echi, costituendo nota di variazione ad un argomento che, a ben ragione, i due musicisti hanno ricompreso nello stadio del suono a sfondo psicologico, dove si apprezzano parecchi dettagli che affiorano all’ascolto concreto: dal mesmerico flusso di “Not sure yet” al cosmico senso di spaesamento di “I don’t know“, dal gioco implacabile tra la base ritmica di Derivaz e il violino perso negli abissi di Dufallo in “The limp” alla sontuosità di “Together” che ribalta semplicemente il barocco ai giorni odierni dandogli una nuova dimensione.