Qui vi propongo una serie di ultime pubblicazioni di Setola di Maiale che mi permettono di segnalarvi dei cds (alcuni veramente di alto livello), nonché artisti che involontariamente non avevo trattato precedentemente o che si affacciano con più determinazione nell’universo dell’improvvisazione.
Gli artworks di espressionismo astratto del violinista/pittore Matthias Boss, che ricorrono nelle copertine di tre cds potrebbero essere il primo driver per analizzare il nuovo lavoro di Guido Mazzon in duo con Roberto Del Piano nel “Il tempo non passa invano”. Con la complicità del tecnico del suono, Paolo Falascone, i due procrastinano quegli esercizi di poetica trasmessa attraverso la musica: la tromba di Guido si cala a seconda delle situazioni, nell’essenza delle descrizioni, impressionando per la bellezza della rappresentazione, un elemento che in questo lavoro non ci fa invidiare nulla delle precedenti prove discografiche del trombettista. Anzi costituisce riprova di un cammino di ispirazione mai domo (la creatività e la fantasia della rondine che “garrisce”, il “tremolio” della pernice, il sapore dell’amarezza sulle “rive del mare”)
Quanto a Del Piano questa è l’occasione per chiedere venia del mancato inserimento nelle mie liste dedicate al jazz: Roberto è bassista unico nel suo genere, poichè oltre a suonare il basso in maniera non convenzionale rispetto alle consuetudini a cui siamo abituati nella musica e nel jazz, è bassista di transito, la cui forte atonalità proveniente dal suo stile improvvisativo crea un patchwork così delineato che potrebbe ingenerare l’idea di trovarsi a pezzi di composizione: è una libertà che si snoda sulle corde, una libertà espressiva al servizio dello strumento, che è in debito con lui e cerca di riconoscergli un’ulteriore intonazione sottaciuta.
Il valente espressionismo pittorico di Boss acquista sembianze pseudo-umane nella compilazione in cui il violinista svizzero si unisce a Del Piano e a Marcello Magliocchi alle percussioni: il nome del progetto “The Three Uncles” sembra aver dell’ironico, ma nella sostanza non lo è per niente. Il cd è diviso in due parti dove la prima documenta un concerto effettuato in Austria al Limmitationes di Heilingenkreuz, mentre la seconda presenta delle registrazioni in studio fatte a Milano. L’improvvisazione è di alto livello, sebbene la qualità del concerto austriaco in low-fi ne rende complicata la percezione: se in questo modo è calibrato l’apporto in sonoro di Magliocchi, il basso di Del Piano è ridondante acusticamente, mentre il violino di Boss è al limite dell’udibile. I tre brani finali, in cui il trio si amplia fino sei elementi (Massimo e Paolo Falascone, Claudio Maffi) ristabiliscono l’equilibrio acustico e permettono un’esaustiva comprensione del livello strumentale.
Il criptico disegno di Boss caratterizza anche la cover di “To Max with love. Omaggio a Massimo Urbani”, registrazione effettuata al Fanfulla di Roma su idea del batterista Ivano Nardi con Eugenio Colombo al sax e Del Piano: qui l’omaggio è strutturato molto diversamente, non c’è niente dello stile del romano. Con sagacia si affaccia la musica del trio pienamente immersa nell’improvvisazione libera, a cui viene affiancato il reading di Carola De Scipio, autrice di un libro dedicato ad Urbani (L’avanguardia è nei sentimenti – vita, morte e musica di Massimo Urbani): sebbene la registrazione non mi sembra impeccabile, i tre musicisti suonano benissimo, dando a più riprese l’idea di un feeling passionale che è quello che probabilmente poteva unire Urbani ai musicisti coinvolti.
Roberto Del Piano partecipa anche al quintetto dei The Five Roosters di “Cinque galli in fuga (per tacer del resto)”: oltre a Del Piano, troviamo Mario Arcari e Massimo Falascone ai sassofoni, Martin Mayes al corno e Stefano Giust alla batteria. Nonostante sorga il sospetto del riferimento al pollame ideologico dei musicisti del El Gallo Rojo, qui il tutto si svolge nella più logica e benefica pratica improvvisativa; pieno di vitalità ed inventiva, si avvale anche di alcuni effetti (Massimo ad esempio, enucleando logiche musicali alla Braxton, inserisce suoni presi dagli IPAD).
Un’altro frequentatore assiduo della Setola è il contrabbassista Luca Pissavini: oltre al progetto potenziato di Fracture (in trio con Margorani e Quattrini) e a quello onomatopeico di Fuwah (duo con la cantante Maddalena Ghezzi), Luca partecipa al trio nDem di “Mondi Paralleli” nato da composizioni del chitarrista elettrico Gabriele Orsi, assieme allo stesso e al batterista Cristiano Vailati: immerso nel chitarrismo guida di Orsi, che pur partendo da Bailey si avvicina a mentalità ed umori alla modernità newyorchese dei settanta/ottanta (Tom Verlaine che si scontra con Bill Frisell), “Mondi paralleli” porta il contrasto tra l’armonico e il disarmonico, tra la finezza e la fisicità: è un sospiro misterioso quello che dobbiamo trarre dalle trame di “Mondi Paralleli” in cui riconoscere la validità di note, patterns musicali e pause poste dai musicisti.
Coraggiosamente sperimentali si presentano i lavori del Collettivo di Resistenza Culturale, un gruppo a cinque nato da un’idea dei sardi Elia Casu (chit) e Paolo Sanna (perc): l’idea è di lasciare una libertà direi quasi spietata agli improvvisatori, che si basano solo su qualche suggerimento indicativo: due lunghe suites in cui l’estromissione dalla realtà è un fatto acclarato. Chiunque si può sentire in diritto di parlare con il suo linguaggio. La verità sorprendente è che alla fine sembra si sia raggiunto un livellamento armonico tra suoni di strumenti, voci, oggetti ed aggeggi elettronici.
Un’altro ampliamento delle teorie improvvisative di Bailey può rinvenirsi nell’operazione del chitarrista Christian Naldi: “Spettro” è una prova singolare, che faccio fatica a pensare come estensione dello spirito improvvisativo di un musicista jazz. Usando ora un’enfasi minimale a strati, ora una proverbiale irregolarità nell’organizzazione dei suoni distorti, Naldi dà dimostrazione di un processo creativo convulso, che si interroga, attraverso una carrellata sintetica di riferimenti, (Reich, Branca, Hendrix) sul valore implicito da assegnare all’amplificatore come fonte di manipolazione dei suoni della chitarra.
La stessa trasversalità rincorre lo splendido cd “The view from up”, che raccoglie una registrazione effettuata al Festival di Nuova Musica di Macerata del 2012, approntata da un quartetto composto dal pianista Thollem McDonas e tre tra i più validi strumentisti a corde classico-contemporanei del momento: Marco Rogliano (violino), Francesco Dillon (cello) e Daniele Roccato (al contrabbasso). L’abbattimento di qualunque frontiera della contemporaneità era certamente nel dna di Scodanibbio, che lo dimostrò a colpi di esibizioni ed organizzazioni di manifestazioni in tema: il quartetto in questione ingloba le personalità dei musicisti, dove gli interventi dei singoli sono perfetti nelle loro dinamiche espressive, cariche di un bagaglio formativo che non è solo frutto dell’avanzamento delle tecniche ma è anche interazione dinamica vitale e continua. Sottoposti alla bellezza delle trame (che dall’oscurità dei suoni ci consegnano la realtà del mondo), quello che si ricava dall’ascolto di “The view from up” è la sensazione che tutto sia stato compiuto con la consapevolezza delle grandi occasioni.