Qualche tempo fa il compositore italiano Eric Maestri sviluppò sul blog /nu/thing un interessante dibattito sul valore da attribuire ai cosidetti gadgets musicali, ossia a tutti quegli oggetti che di solito producono suoni inarmonici o apparentemente non interessanti come scatole, boxs, carillon, giocattoli, etc.; in quel dibattito, a cui parteciparono altri giovani compositori italiani impegnati nello stesso percorso critico, emerse come la problematica fosse più ampia di quello che si pensasse e che essa non potesse fare riferimento solo alle intuizioni che già erano pervenute dal seminale mondo musicale contemporaneo tramite compositori come Helmut Lachenmann. Composizioni come “Guero” e “Pression” di Lachenmann o “La lumiere n’a pas de bras pour nous porter” di Gérard Pesson (uno dei suoi più illustri discendenti al riguardo) compiute sulla forma “corporea” degli strumenti (non apportando, quindi, modifiche strutturali alla produzione del suono attraverso l’applicazione concreta di oggetti, come nel caso di Cage), dimostravano come esistesse un filo logico tra la materia inanimata e l’ottenimento di suoni aventi caratteristiche malleabili, sulle quali poter imbastire l’esplorazione e addirittura la composizione, sviluppando una ricchezza di sensazioni tutta da inquadrare. Su basi inarmoniche si sviluppò d’altronde anche una parte della ricerca degli spettralisti. Ma i concetti più eclatanti di molta analisi sui gadgets risiedono in quella supposta corresponsione di ironia e esotismo che si riesce a ricavare da una loro giudiziosa rappresentazione.
Se è vero che questa sensibilità del gadget esiste, è anche vero che essa possa essere estrapolata anche attraverso suoni sintetici (ottenuti non solo attraverso lo strumento ma anche ricorrendo all’elettronica) che ne rappresentano il suo surrogato: è in quest’ottica che, trasferendo questi pensieri nella libera improvvisazione, si pone l’opera del sassofonista francese Matthieu Metzger.
Metzger ha da poco pubblicato “Selfcooking“, un lavoro che è fermamente convinto sulla possibilità di individuazione di nuove combinazioni di suoni, in cui la miscela è composta, oltre che dai suoi sassofoni, anche da elettronica spicciola (usa alcuni synths o tastiere come Farfisa, Mopho e Yamaha RX 15) e tanti gadgets autoprodotti e/o casalinghi. Un’indole improvvisativa davvero particolare.
Sebbene Matthieu, con molta onestà intellettuale, fa presente nelle note interne che il suo scopo non è certo quello di giustificare od attribuire concettualità alla sua musica, ma solo di tirare su un prodotto musicale che sia “astratto” e “gioioso” al tempo stesso, di idee composite il francese ne presenta molte in materia.
Quello che si presenta alle nostre orecchie è una sorta di connubio elettroacustico sui generis, irridente e domestico, che prende in considerazione suoni depositati nella nostra memoria passata, a cui ridargli una nuova veste che tenga conto dell’ordinarietà della nostra vita, del nostro quotidiano rapporto con oggetti i cui suoni spesso vengono scalati dalla nostra mente come scarti erratici. Ecco quindi che l’esperimento di Metzger diventa un interessante connubio da esperimento di laboratorio. Dentro sentirete echi di eclettismo improvvisativo (“Huis clos” è aperta alla pluridirezionalità e all’avventura delle voci del sax, mentre l'”Hibernation Complexe” è puntellata da un’impietosa elettronica da video-game), del melodismo filtrato dall’elettronica da tastiera di Stevie Wonder o Joe Zawinul (“Le mort joyeux” usa una systole-box), di deframmentazione esasperata (“Vue de profil l’arriére était sur un cote“) o di accorpamento irriverente (Terry Riley è assieme ai Kraftwerk in “Lennie R. Nue au soleil…“)
Tuttavia, non vorrei nemmeno comunque che voi aveste una visione fuorviante del musicista pensando solo alla prova di “Selfcooking”: Matthieu è un jazzista fondamentalmente, è un membro dell’Orchestre Nationale de Jazz, e un promettente seguace delle impostazioni tecniche di straordinarie personalità come Evan Parker o Roland Kirk, specie quando si pensa all’atteggiamento assunto verso costruzioni sonore che prevedono il fatto di suonare contemporaneamente più sax nello stesso momento: se prendete il live set del 2013 al Theatre Blossac di Chatelleraut, vi renderete conto di come Matthieu filtri diversi aspetti della contemporaneità musicale, indicando una prospettiva espressiva diversa da quella ironico-casalinga di “Selfcooking”. Ma sia in quel caso, che in “Selfcooking”, si riesce comunque a catturare la bravura e l’intelligenza di un musicista, le cui prestazioni strumentali, quelle che provengono direttamente dall’uso della materia strumentistica tradizionale (alto, baritono e sopranino) sono di una efficacia memorabile. Ascoltate la freschezza della marcetta di “Présentez Arme“, il brano iniziale che tra istinti jazz e progressive, viene condotto secondo stilemi che richiamano alla memoria alcune zone allargate della musica di Lox Coxhill, una vera e propria liberazione, oppure l’interno di “Zozosia“, dove la bellezza e l’essenzialità della parte dedicata al sax soprano è fondamentale per sostenere un brano che proietta verso lidi abbastanza lontani dal jazz, ma al tempo stesso molto più attuali, quelli che sono alla ricerca dell’ottenimento di un nuovo linguaggio da attribuire ai matrimoni tra strumenti musicali e oggetti.