Bogan Ghost – Zerfall
Liz Allbee è una trombettista americana che dopo quaranta anni vissuti nella Bay Area si è trasferita qualche tempo fa a Berlino. Così come a Berlino ha base professionale la cellista Anthea Caddy, di origine australiana. Entrambi improvvisatrici avanzate del loro strumento, hanno deciso di porre in essere un’esperienza in duo che era il frutto delle loro visuali artistiche: pur essendo diverse nelle impostazioni stilistiche, le due condividevano la passione per un certo tipo di improvvisazione “oscura”. Il loro progetto Bogan Ghost raccoglie le differenti prospettive delle due artiste puntando sul concetto di insieme propedeutico: per poter trasportare l’ascoltatore in una dimensione amena dal punto di vista musicale è necessario interpolare le mentalità ed utilizzare tutte le risorse a disposizione.
“Zerfall” (che in italiano starebbe per degrado) accoglie le evoluzioni di una tromba irriconoscibile perchè modificata e di un cello che parla una lingua ad ultrasuoni. Con l’aggiunta di qualche effetto che ha tutta l’aria di appartenere alla famiglia del rumore di fondo o agli anfratti ambientalistici, Zerfall produce un’interessantissimo art voyage che ha il solo difetto di non proiettare, a sufficienza, immagini mentali dietro l’uso dei titoli. Più che un decadimento sembra di assistere ad una discussione sul suo dissolvimento. La Allbee, che ha già all’attivo altre registrazioni (che io ignoro completamente), suscita gli stupori del Peter Evans più emancipato, mentre la Caddy sembra calcare (secondo lo spirito improvvisativo) tutta la dottrina elettroacustica con particolare attenzione agli effetti “spaziali” e psicoacustici.
Paul Flaherty & Randall Colbourne – Ironic Havoc
Un’altra coppia semifissa è quella costituita dal sassofonista Paul Flaherty e dal batterista Randall Colbourne.
Flaherty è venuto alla ribalta dell’improvvisazione libera, subito dopo la grande “pausa” del decennio ’80-’90, con uno stile rough molto vicino a quello di sassofonisti espressionisti astratti come Perelman o Gayle. La collaborazione con Colbourne è stato il suo suggello: i due si sono incanalati in una serie di concerti e registrazioni che con coerenza non hanno spostato di un millimetro il loro raggio d’azione, e questo se da una parte si è rivelato uno dei punti di forza del connubio (quattro albums in duo), dall’altro ha reso elitaria la loro proposta. Paul Flaherty è un artista immenso di cui si dovrebbe riparlare molto di più; se comunque dovessi consigliarvi qualcosa del passato, non avrei dubbi a preferire le significative solitudini di Voices, Whirl of Nothingness o di Aria Nativa, magnifiche e desolate dimostrazioni di vita.
“Ironic Havon”, ultimo lavoro per la R.P.R., è arte rude e passionale al punto giusto, spaventoso controllo delle emissioni, consolidamento dello stile di Flaherty, un qualcosa che sa essere melodico/lirico e prenderti alla gola al tempo stesso, mentre Colbourne crea inconsuete squadriglie ritmiche.
“Ironic Havon”, ultimo lavoro per la R.P.R., è arte rude e passionale al punto giusto, spaventoso controllo delle emissioni, consolidamento dello stile di Flaherty, un qualcosa che sa essere melodico/lirico e prenderti alla gola al tempo stesso, mentre Colbourne crea inconsuete squadriglie ritmiche.