Paul Motian introdusse nel jazz nuovi concetti sulla variabilità ritmica: tocco, multiformità delle variazioni estratte in piena libertà, intimità e simbolismo del gesto musicale, divennero fattori caratteristici di un modo di interagire della batteria e delle percussioni che si emancipava definitivamente dalle evoluzioni del bop o hard bop e cominciava a guardare nelle terre di nessuno, terre incontaminate in cui scaricare in maniera totalmente diversa e non vincolante, creatività, stimoli interattivi e visioni basate sul potere dei suoni; negli anni in cui Motian cominciò a proporre questo nuovo approccio percussivo (nel 1973 Paul incise lo splendido manifesto di Conception Vessel) i batteristi cercavano strade alternative e con esiti diversi, ma risultavano spesso settoriali: se negli Stati Uniti i batteristi free si impegnavano nel cementare alcuni aspetti ritmici (i fuochi accesi di Elvin Jones o le scintille di Milford Graves), in Europa si era di fronte all’anarchia percussiva vorticosamente raggiunta da artisti come Han Bennink; il “ricamo” di Motian era qualcosa di impareggiabile e doppiamente considerato perchè nella realtà si adattava bene a più pubblici: raffinato, con un intrinseco contenuto evocativo, quella sorta di art style percussivo ha impressionato larghe schiere di improvvisatori delle generazioni successive.
L’ammirazione di Jeff Cosgrove però è qualcosa che va oltre il mero ripescaggio: Andrew Cyrille, un altro gigante della batteria, si è adoperato per unire Cosgrove con due stelle del jazz moderno: Matthew Shipp al piano e William Parker al contrabbasso in un trio in cui i riferimenti stilistici non hanno certamente i sigilli specifici di Cyrille, così come propongono il percussionista di Philadelphia guardando allo spirito; l’ampia dedica a Motian è solo un viatico per non dimenticare che egli apriva, grazie al suo modo di suonare, delle “discussioni”, dei libri aperti in cui i compartecipanti trovavano un’esatta definizione delle loro prerogative espressive: si muovevano liberamente su un tappeto percussivo incredibilmente adatto alle loro improvvisazioni del momento; è questa una delle grandi innovazioni di Motian a cui Cosgrove ha dato una sua rilettura imbastendo il trio succitato; in “Alternating current” sarebbe pleonastico solo trovare un trio di eccezione che inchioda l’ascoltatore per la bellezza delle forme e l’imponenza delle strutture musicali; quello che affascina ancor più è la magia sottesa delle intersezioni create dei tre musicisti, una registrazione da vedere alla stregua di un live set che travalica il semplice omaggio e conduce nel mondo dei tre musicanti: con sorpresa si scopre uno Shipp e un Parker più canonici e normalizzati del solito, ma perfetti nel transfer evocativo (i due non avevano mai rifatto Motian) e un Cosgrove che guida letteralmente le danze. E’ a quest’ultimo, all’idea di costruire personali obbliquità anche in forme prolungate (Bridges of tomorrow dura 39 minuti circa), alla sua spontaneità e alla sincera esposizione di un “mondo”, che si deve misurare il valore di questo progetto.