Quando si parla di futurismo spesso crediamo di imbatterci in qualcosa di irrimediabilmente trapassato dal tempo dimenticando che lo stesso ha creato le premesse di molta arte a venire: da Cage alla pop-art, dalle elucubrazioni chitarristiche di Jimi Hendrix e Jerry Garcia ai quadretti non sense di Zappa, dalla musica industriale fino alle intersezioni avanguardiste e ad un certo tipo di musica elettronica.
Oltre a Marinetti, Russolo e tanti altri, il movimento potette contare su Fortunato Depero, che incarnò perfettamente le sfide del manifesto futurista, soprattutto puntando sul rinnovamento del linguaggio, una sorta di breaking point della cultura che era ancora immersa nelle pieghe romantiche. L’esaltazione dei contenuti sonori da attribuire a parole frammentate, onomatopee o a frasi reinventate nella loro composizione unitamente al cablaggio dei rumori artificiali o meccanici ne faceva una novità da assaporare alla luce di un rinnovamento culturale forte nei toni e nelle dinamiche espressive; soprattutto le liriche radiofoniche di Depero avevano un elevato potenziale di far breccia nelle abitudini e nella psicosi dell’audience, così come descritto dallo stesso autore ….”L’ascoltatore non è più unicamente raccolto in un salotto silenzioso e romantico, ma si trova ovunque: per strada, nei caffè, in aeroplano, sui ponti di una nave, in mille atmosfere diverse….sulla realtà che circonda l’ascoltatore deve vibrare come un NEON LUMINOSO; come un’apparizione, un paesaggio e una visione cosmica medianica….”
Oggi uno dei rischi maggiori nel porre un’operazione di questo genere è quello di non saper distinguere l’omaggio dall’operazione creativa, un problema che a ben vedere spesso non riguarda i musicisti coinvolti poichè insito nelle forme astratte determinate dagli standards del movimento del novecento. Le idee creative vengono splittate in campi paralleli, alla ricerca di integrazioni e cinquanta anni di esperimenti in tal senso dimostrano che non è difficile creare scenari alternativi. Un atto creativo è certamente Act I: Notes in freedom, l’operazione del trio composto da Andrea Massaria, Enrico Merlin e Alessandro Seravalle, che esordisce con il progetto Schwingungen 77 Entertainment (un riferimento alle oscillazioni e ad un album famoso degli Ash Ra Temple); essa si mostra molto rispettosa della tradizione futuristica incentrandosi sugli accostamenti possibili tra un pool di chitarre variamente configurate e la loro somministrazione nella poetica del movimento, di fianco a rumori e suoni melliflui: si utilizzano vari oggetti, campionamenti, live electronics, andando a pescare non solo in Depero ma anche in personaggi visionari come Velemir Chelebnikov o Albert-Pierre Birot. Forse a Act I: Notes in freedom manca un rapporto diretto tra tema ed immagine che spinge l’ascoltatore ad armarsi di un diverso spirito di compenetrazione, più vicino a sensazioni che indirizzano verso la deformazione delle immagini sonore (sebbene questo sia sicuramente da escludere in Verbal o Simultaneità futurista di una battaglia aeronavale), ma è anche normale una tale circostanza, poichè il tiro è certamente spostato sul piano dell’aderenza concettuale ai principi futuristici visti nella loro generalità ed esposti in forme musicali pensate e non gettate alla rinfusa; la conseguenza è la possibilità di mettere in evidenza anche le caratterizzazioni meno evidenti del movimento (ad es. I funerali dell’anarchico Galli mostra un’implicita rendicontazione dadaista).
Sottolineo la rarità del lavoro del trio ed in particolare di Massaria, che è uno dei pochi musicisti che costellano questi argomenti di nicchia: al riguardo Massaria qualche tempo fa intraprese anche una collaborazione fruttuosa con Schiaffini e la Ghiglioni per un’edizione musicale del Verbalizzazione astratta di Signora di Depero.
Come accennato, esempi empirici che sviluppano elementi del futurismo musicale si possono acquisire anche con procedimenti indiretti, ma che di norma impegnano come sempre l’improvvisazione: nell’alveolo di tanti musicisti italiani esportati forzatamente a New York, Gian Luigi Diana si distingue per aver già trovato un suo carattere musicale e per aver registrato in Setola (tra gli altri) un ottimo lavoro sul
digital signal processing, intitolato
Cristalli.
Ora l’attenzione si sposta su un trio con altri due newyorchesi, il sassofonista Blaise Siwula e il chitarrista Harvey Valdes. “Tesla coils” (riferito alle bobine create da Nikola Tesla nel 1891) è di altissimo livello; pretende il massimo della creatività dai tre musicisti e la ottiene. Di Valdes non conoscevo nulla, mentre Siwula è stato uno dei rappresentati della scena free jazz degli anni novanta; con uno stile diviso tra Sonny Rollins ed Ornette Coleman, Siwula è un maestro dell’incrocio tra melodia ed espressionismo astratto, spesso costruito a blocchi con momenti distensivi e virate energicamente eccentriche (il solo Live in London è ampiamente rappresentativo).
In Tesla coils tutto funziona perfettamente con parti convulse ma di straordinaria efficacia sonora: in Primary coil, dall’undicesimo minuto circa, l’improvvisazione ruota vorticosamente intorno alla tensione creata dagli strumenti, con Diana che si insinua con sonorità e arrangiamenti che ricordano tempeste magnetiche e/o manutenzione dei circuiti elettrici, per terminare con poche note di sax ed una calma surreale. Nonostante l’apparente stridore, la musica resta godibilissima e parecchio invischiata in una rappresentazione che sta tra la jam e gli svuotamenti di energia elettrica delle frequenze dei circuiti di Tesla; Discharge terminal si costruisce magnificamente sulle “scariche” presentando però anche particolarissime combinazioni tra suono ed effetti che coinvolgono la nostra sensibilità in maniera descrittiva. Sta di fatto che Siwula sembra aver fiato in quantità industriali, Valdes trascina l’ascolto nei mondi melliflui dell’atonalità e Diana cesella questo patchwork con il suo laptop e la sua ricerca di suoni in quello che può essere considerato un modernissimo trattato sulle sorgenti ad alta frequenza, sulle simulazioni del circuit bending e la risonanza di fronte al jazz di Coleman e Bailey: al riguardo Primary tank capacitor è un compendio di tali principi che guarda molto avanti nel tempo, così come questo progetto che ci proietta in uno dei migliori prodotti di improvvisazione di quest’annata.
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Tesla Coils – English translation
As before mentioned, empirical examples that develop elements of musical futurism can be acquired even with indirect methods that normally undertake always the process of improvisation: as many Italian musicians forcibly exported to New York, Gian Luigi Diana stands out for having already found its musical character and to have recorded in Setola (among others) a great job on digital signal processing , called Cristalli Sonori . Now the focus shifts to a trio with two other New Yorkers, the saxophonist Blaise Siwula and guitarist Harvey Valdes. “Tesla coils“(referring to the coils created by Nikola Tesla in 1891) is on the highest levels; it expects the maximum of creativity by the three musicians and it got it. I didn’t know anything about Valdes, while Siwula was one of the representatives of the free jazz scene during the nineties. With a style between Sonny Rollins and Ornette Coleman, Siwula is a master of the intersection between melody and abstract expressionism, often build in blocks with moments of relaxation and powerful eccentric playing (the only Live in London is broadly representative). In Tesla coils everything works perfectly with convulsive parts and an extraordinarily effective sound: in Primary coil, from the eleventh minute on, the improvisation whirls around the tension created by the instruments, with Diana that creeps with sounds and arrangements reminiscent of magnetic storms and / or maintenance of electric circuits, to finish with a few notes of the sax and a surreal calm. Despite the apparent disparity, the music is highly enjoyable and a lot embroiled in a representation that lies between the jam and the emptying of electricity frequency circuits of Tesla; Discharge Terminal is built magnificently on the “shock” but also presenting very particular combinations of sound and effects that involve our feelings in a descriptive way. Siwula never stop blowing in his instruments, he is never tired; Valdes drag the listening to the mellifluous worlds of atonality and Diana carves this patchwork with his laptop and search for sounds in what can be considered a modern treatise on the sources to High-frequency simulations of circuit bending and resonance in front of the jazz of Coleman and Bailey and Primary tank capacitor is a compendium of those principles that look very forward in time, as well as this project that propels us into one of the best products of Improvisation of this year.