Gestioni delle disorganicità

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Uno dei principali pregi della Setola di Maiale di Stefano Giust è quella di saper scegliere con criteri uniformi le tipologie di progetti che versano nell’ambiente apparentemente comatoso che interseca i mondi della libera improvvisazione, del jazz, dell’elettronica e della sperimentazione sonora. Si potrebbe parlare anche di gestione della musica non organica, quella che siamo abituati a scartare senza dargli nessuna possibilità. A prescindere dal raggiungimento di un’educazione musicale apposita, utile per apprezzare con efficace discernimento la varietà progettuale dei partecipanti, spesso basterebbe chiedersi quale possa essere il collegamento tra la musica e le idee e cercare dei possibili punti in comune. E’ sulla base di questo filo conduttore che ci si inoltra nelle uscite discografiche recenti di alcuni gruppi e musicisti dell’etichetta.
 
Trio Music minus one documenta una perfomance svolta ad Okland di Thollem McDonas e Gino Robair: il minus one usato purtroppo segnala la mancanza di Dennis Palmer, musicista elettronico e artista visuale, scomparso nel 2013 (1): è un concerto anomalo per i due, poichè McDonas lo conosciamo soprattutto al piano, mentre Robair (pur essendo un percussionista molto apprezzato) di solito lo ritroviamo dietro a consolle, elettronica varia od oggetti che preparano strumenti; il gioco synth (nello specifico il rhodes) contro percussioni ha un gancio nella musica dei sessanta, quando l’abbinamento ben si sposava con le ambientazioni musicali jazz-rock o psichedeliche (si pensi a Miles Davis, il primo Chick Corea, ma anche a gruppi come i Cream); tuttavia non c’è un paritetico clima aperto alla visioni ordinate di giungle sonore, qui la disorganicità regna sovrana e comporta un maggior grado di libertà espressiva che tiene desti per la commistione dei suoni, cerca un confronto avanzato con i tempi, sebbene quello scenario (quasi post-industriale) deve affrontare i rischi della sperimentazione.
Di innamoramento si parlò invece a proposito del trio Gerold/Guazzaloca/Giust nel progetto Transition: in questo caso la seconda registrazione del trio riporta il loro concerto al jazz festival di Mibnight di Bremen; ancora un’esibizione convincente in tre parti che si allontana piuttosto visibilmente dagli influssi sciamanici che avvolgevano il loro primo numero; in sostituzione si ascoltano tre musicisti incatenati ai loro strumenti proiettati verso una libera improvvisazione dove ognuno sembra correre per un treno personale, mettendo in maggiore evidenza le caratteristiche stilistiche di ognuno di essi: Gerold è un flusso incontrollato di slanci flautistici, Giust costruisce un quadro naif con il suo drumming equamente diviso tra piatti, rullanti e giochi di bacchette, mentre Guazzaloca è un onnivoro ricercatore di suoni non convenzionali e di catene di suoni (2)
L’OST Quartet è il progetto del chitarrista Nico Soffiato, residente a Brooklin, con musicisti appartenenti all’area improvvisativa newyorchese: Eli Asher alla tromba, Greg Chudzik al contrabbasso e Devin Gray alla batteria. Formalmente concepito pensando a colonne sonore di varia natura, il lavoro si presenta come un omaggio a certe sperimentazioni di Derek Bailey calato nelle ambiguità della musica moderna, in cui strumenti preparati, imbottigliati o imperterriti, percorrono improbabili percorsi fatti di complesse tessiture che strizzano gli occhi alla contemporaneità (Chudzik vanta un curriculum nella classica moderna con le sue partecipazioni al Signal Ensemble o al Talea Ensemble, nonchè per essere stato diretto da Boulez nell’orchestra dell’Accademia di Lucerna). Ne consegue un disco moderatamente enigmatico, al confine tra improvvisazione jazz e contemporanea classica, dove i musicisti scelgono di rappresentare i pensieri del momento con intelaiature architettate con dovizia di particolari tecnici, dando nel complesso l’idea di un prodotto improvvisativo particolarmente raffinato.
Riccardo Marogna, clarinettista/sassofonista di Padova, è l’organizzatore del progetto Oktopus Connection: composto da 8 elementi compreso Marogna (Piero Bittolo Bon ai sax, Alberto Collodel ai clarinetti e korg monotron, Marcello Giannandrea al fagotto, Nicola Negri alla tromba, Niccolò Romanin alla batteria, Giambattista Tornielli al violoncello e Luca Ventimiglia al vibrafono), sostiene il riferimento ad un connubio tra le tecniche di partitura e quelle di conduzione: in breve costituisce personale ricerca sulle teorie di Anthony Braxton e Butch Morris. Per ciò che concerne la partitura grafica, Marogna sviluppa quella dei grafi (da non confondere con quella dei grafici), ove è possibile schematizzare attraverso collegamenti ciò che l’improvvisazione deve rispettare a caratteri generali; mentre per la conduzione ci si rifà ai metodi moderni di Morris, che fissava e dirigeva i tempi d’ingresso degli strumentisti lasciando poi piene facoltà improvvisative agli stessi. L’esperimento di Marogna (3) è ben costruito e produce momenti di improvvisazione collettiva che non temono confronti, ma l’aspetto che più coinvolge l’ascoltatore attento è quella di veder scorrere implicitamente, in quelle escursioni anche mimiche di gruppo, i temi del Gershwin di Ain’t necessarily so, l’obbliquità delle orchestre di Sun Ra o i veloci svolazzi del Leo Smith degli esordi.
Note:
(1) vedi qui un’inquietante/interessante ritratto di una sua galleria di dipinti.
(2) vedi qui un estratto della loro esibizione a Bremen in Germania.
(3) vedi qui un’esibizione live allo Spazio Clang di Padova.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.