Steve Roach: The delicate forever

0
697
Source Steve Roach and Adam Fleishman Author Cometmoth Sight & Sound / Adam Fleishman, Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported license. No change was made
Nella prospettiva di ricerca delle fonti della musica ambient, il giornalista irlandese Mark Prendergast, nel suo libro “Ambient century“, tenne fuori Steve Roach sia dai produttori di stile che dalla lista dei 100 indispensabili lavori di quel genere. Non penso si trattò di una dimenticanza, la verità è che Roach è sempre stato considerato criticamente in maniera diversa, forse solo per il fatto di essersi imposto in un movimento che era già in tendenza al suo arrivo. Ma nell’arte, si sa, c’è sempre qualcuno che prende i meriti di qualcosa che si sviluppa in più soggetti spesso silenti. Il passaggio da una mera condivisione dell’elettronica berlinese allo stile per cui è riconoscibile, è avvenuto con “Structures from silence” nel 1984, che quest’anno festeggia il trentennale con una nuova edizione in cd ripulita e riportata a nuovo: in quel momento storicamente l’ambient music era stata già introdotta da Brian Eno, ma la corrente di Los Angeles aveva già carpito nuove sfumature: se quella di Eno era ambient music “terrena”, fatta per rappresentare ambienti circoscritti all’evidenza del nostro apparato visivo ed uditivo, quella di Roach era ambient music a sfondo “psicologico”. Come corriere cosmico Roach ne incarnava una misteriosa figura che non aveva bisogno di indagare nello spazio andando a scovare le sue propaggini, ma rimaneva inchiodato a terra cercando di trovare il respiro del cosmo partendo dalla centralità dell’uomo, un benessere che si poteva raggiungere subdolamente attraverso la musica impostata in un certo modo (il synth Oberheim OB8 diventò lo strumento di questa ricerca). L’indiretto riferimento al “benessere” fu il motivo per cui Roach dovette fare i conti anche con il pubblico degli hippies americani devoti alla new age music, poichè il confine tra ambient e new age nel suo caso era interpretabile (nella sua divisione) solo dagli addetti ai lavori: nella musica di Roach non c’era però la ricerca del relax o di radiose tessiture della realtà circostante; piuttosto il contrario, ottenere attraverso della musica intelligente, la forza necessaria alla comprensione dell’uomo e dei suoi rapporti con la natura circostante. E se, ancora oggi, si parla di lui allo stesso modo con cui si parlava trent’anni fa, il motivo sta nel fatto che la differenza è stata percepita anche dall’audience, creando una corrente musicale riferibile solo a lui.
L’ultima pubblicazione di Roach, “The delicate forever“, nasce probabilmente sulla base di questa onda di rivalutazione adottata per quel seminale disco del 1984, poichè sembra ricalcarne strutture e motivazioni: lo splendido tintinnio di note che culla l’ascoltatore in “The well spring” sembra essere un’eccellente copia di quello usato in “Reflections in suspension”, così come gli abissi interiori di “Perfect sky” raccolgono i vuoti di un viaggio dell’anima alla stessa maniera di “Quiet friend”. Strutture dronistiche finissime accolgono gli incantesimi di “Hearafter”, mentre “The delicate forever” non è in grado di replicare la bellezza melodica dei respiri sintetizzati di “Structures from silence”.
Articolo precedenteGestioni delle disorganicità
Articolo successivoSystems Aesthetics in Contemporary Sound Art: Two Netlabels
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.