Sembra sempre più necessario che i giovani compositori seguano con più interesse gli stimoli che provengono da nicchie musicali diverse da quelle di appartenenza: Huck Hodge (1977), americano della Florida, ma già con un curriculum di studi e premi abbondantemente conseguito in tutta Europa, è uno di quelli che guarda lontano, in tutti i sensi. Non è certamente un serialista alla maniera degli anglosassoni sebbene abbia studiato con Lerdhal, né è un tonalista poiché è accentrato sulla composizione timbrica; il suo è uno sguardo musicale d’insieme frutto di una formazione condensata su vari fronti: Murail per gli anfratti della risonanza, le tecniche improvvisative (sul suo sito potete apprezzare una sua ottima perfomance al piano/computer con il trombettista Cuong Vu), le teorie ecologiche canadesi, accenni di minimalismo di ultima generazione incentrato sull’orchestra, il computer come mezzo rafforzativo del carattere dei suoni.
La New World Records ha recentemente pubblicato il suo primo cd che è un programma filosofico fin dal titolo e dalla copertina: “Life is endless like our field of vision” ci porta su un ponte marino con quel gioco ottico che non ci fa scorgere punti di arrivo all’orizzonte. Hodge viene presentato con quattro sue composizioni rappresentative, in cui emerge il suo interesse per l’evidenziazione delle penombre e per l’interrogarsi musicalmente sulla loro veridicità non solo fisica; c’è una condizione misteriosa nel suo pensiero che è frutto di un riciclaggio di tecniche contemporanee (intese in senso ampio) utili per compendiare efficacemente un’idea: come descrive lo stesso autore nelle note interne la musica dovrebbe riacquistare una sua capacità filosofica anche in un mare di suoni non sempre dotati di questa qualità; è l’idea che guida la composizione e le fonti di questa idea si possono trovare nella letteratura, nella filosofia, nonché nelle arti visuali e nel mondo naturale.
Hodge ha molto in comune con la Grecia antica, l’Italia e con la loro storia culturale: non è solo un semplice riferimento del passato, è qualcosa che si è aggiornato e si è preparato con cura prendendo spunto anche dall’arte della trasmissione visuale degli argomenti e dal paesaggio: attacchi musicali rinforzati, atmosfere misteriose e nebulose che nascondono una vivacità intrinseca nella loro apparente immobilità strutturale, il più ordinato e compiuto tentativo di eliminare del tutto la retorica delle false immagini indotte da musicisti poco ispirati (mi riferisco per esempio a tanta ambient music di stampo minimalistico troppo concentrata sugli effetti sonori e non sulla causa del suono).
I quattro lasciti di Hodge su questa raccolta sono realmente una sorpresa e una rivelazione per gli amanti della musica: “Alétheia” cerca di posporre nella musica il tema di Heidegger dello stato della verità, “Pools of shadow from an older sky” è il risultato di una commissione dell’Accademia americana a Roma incentrata sul telescopio di Galileo, “Out of a dark sea” fa i conti con una passeggiata notturna sul mare di Long Island, “Re(f)use” riporta alla memoria le corrispondenze naturalistiche con i suoni delle teorie di Schaefer. In tutti i casi quello che affascina è l’aver trovato suoni acustici o elettronici perfettamente evocativi che si incastrano in una trama solida, ricercata e soprattutto fruibile per l’ascoltatore. La direzione di Hodge si inserisce in una più ampia riflessione che sviluppa la teoria contemporanea in maniera alternativa a quella che proviene dalle principali scuole di pensiero dell’Occidente.