Se si scorrono i vincitori dei premi elargiti dall’accademia bavarese delle Belle Arti, premio istituito dal nipote del famoso industriale tedesco, Ernst Von Siemens, si nota come sia custodita molta della più illustre nomenclatura della storia musicale del secondo novecento. Particolarmente gradito è il sub-premio che viene corrisposto ai migliori compositori, di regola rappresentati dai più giovani, che per tale via dovrebbero accrescere la loro popolarità internazionale: istituito nel 1990, ha visto molti italiani vincerlo: Francesconi, Billone, Filidei. Lo scorso anno tale riconoscimento è andato a Simone Movio (1978), compositore di Udine, che si è presentato con “Di Fragili Incanti“, avvalendosi dell’aiuto ed interpretazione di alcuni musicisti del Klangforum Wien. Movio ha collateralmente ottenuto (come è di regola per tutti i vincitori annuali) la possibilità di incidere un cd monografico nella collegata e rinomata etichetta austriaca della Col Legno: Movio lo ha chiamato “Tuniche“, poiché il suo scopo è di sovraintendere, attraverso la sobrietà di esse, alla piena decifrazione dei segreti riposti nella sua musica: esso contiene i due campi d’indagine del compositore che lo pervadono allo stato attuale, ossia gli incanti e la ricerca della vera spiritualità: su questi temi ha costruito dei cicli autentici che traggono ispirazione da un paio di risorse culturali che hanno stimolato il suo interesse creativo; da una parte c’è la visione del dipinto “La Madonna sul prato” di Raffaello e dall’altra il racconto “The zahir” contenuto nei brevi scritti di Jorge Luis Borges all’interno di Aleph and other stories; del dipinto di Raffaello, Movio è stato affascinato dalla dolcezza e dalla serenità espressiva delle figure ritratte (un processo lento di ammirazione che porta all’estasi della scoperta), così come è rimasto stregato dalle ossessioni tra il reale e l’apparente, ossia quella fiction provocata dal linguaggio che determina il lato fantasioso dello scrittore argentino (che a tutti gli effetti si può indicare come un precursore dell’attività letteraria contemporanea). Vi è dunque l’impulso della ricerca della bellezza, una circostanza che trae origine dall’interiorizzazione dei particolari (sia pittorici che letterari) e che tende ad essere contestualizzata in una struttura musicale: in Tuniche il filo diretto che lega la scrittura al contenuto emotivo che si vuol raggiungere (ossia alla resa determinata dall’estasi divina vissuta in senso quasi metafisico), è ottenuto trovando un fuoco di convergenza veramente unico: in merito alla rappresentazione oggettiva di un ipotetico ambiente frutto dell’incantesimo vissuto come una folgorazione divina, la storiografia musicale ci ha quasi sempre insegnato ad aderire tra esempi che rientravano nel mondo della tonalità reputata essenziale per fornire l’adeguatezza dei connubi immaginativi, e senza dubbio, se si eccettuano i differenziati tentativi di compositori particolarmente invasi dal fervore religioso (Messiaen, Gubaidulina) o di alcuni minimalisti dronistici, la musica contemporanea post anni cinquanta non ci ha abituato ad una precisa e non fuorviante spiegazione in termini musicali delle sensazioni mistiche, quelle, per intenderci, che ci fanno pensare di essere nella contemplazione di un paradiso al cospetto di Dio; Movio, pur usando mezzi “normali” di scrittura, riesce ad impattare in maniera perfetta al tema e, sia che si ascolti Di Fragili Incanti o Incanto III o anche “…come spirali…” , vi porta con tempi variabili tra i 15 e i 20 minuti in una personalissima orbita di beatitudine, di cui si scoprono le virtù strada facendo, come nell’approfondimento delle opere d’arte relative: è tutto suonato in punta di piedi, con gli strumenti che nella loro totalità vengono regolati per cogliere gli insegnamenti di Berio e Sciarrino (in merito ai multifonici e ai silenzi costruiti), senza tralasciare variazioni di sorta che comportano anche un ispessimento delle tessiture musicali; distribuisce fascino anche grazie ad un evidente e non usuale verve da camera, uno specchio della confidenza apportata alla visione musicale e contenuta nella contrapposizione specialistica di sax (alto o tenore) o fiati leggeri (clarinetto, flauto) con piano e percussioni, in soluzioni che potrebbero mettere d’accordo mondo accademico e non (si pensi ai progressi fatti anche nella libera improvvisazione).
Il ciclo di “Zahir“, che in Tuniche viene rappresentata con la sua quinta parte, strutturata su un quartetto di sassofonisti (gli spagnoli del Sigma Project), vira verso la rappresentazione della parte enigmatica di Borges, ossia quella di riuscire a rappresentare il vero carattere dell’uomo. Zahir è un termine arabo che viene usato dai musulmani per esprimere una visibilità particolarmente dotta di Dio: in specie lo usano per “gli esseri e le cose che hanno la terribile virtù d’essere indimenticabili e la cui immagine finisce per rendere folli gli uomini: è un processo lento, ossessivo, tale da soffocare progressivamente gli stati della realtà. La complicazione delle strutture di Zahir V tendono a replicare l’imperturbabile visuale dello scrittore argentino che ha come scopo la visione di Dio, ma mentre quello degli “incanti” è più spontaneo e diretto, quello delle “responsabilità” dell’uomo è più tortuoso da compiere, sebbene rimanga comunque l’indagine.
Ben vengano compositori come Movio, che smuovono le acque della ricerca musicale in funzione del più nobile scopo a cui la musica ambisce.
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I riferimenti musicali di Simone Movio:
https://soundcloud.com/
http://www.youtube.com/user/
http://www.babelscores.com/