Our tears are not enough
to make the land fertile.
Animals die one after the other,
the ground becomes dry,
there is nothing more eat for the herds,
cows are only skin and bones
Samba Touré, Gandadiko
Molti cultori della musica africana si saranno chiesti se sia realmente possibile un post-Ali Farka Touré ed è evidente che molti di loro saranno anche consapevoli della difficoltà di poter aggiungere nuovi progressi. Questa realtà si abbina anche alla necessità di considerare qualche variazione di percorso dovute alle recenti difficoltà che la regione sta affrontando per via dell’islamismo irrazionale penetrato attraverso le regioni desertiche della nazione. Quando Ali si consacrò all’audience mondiale grazie all’appoggio di Ry Cooder nell’indispensabile “Talking Timbuktu“, la situazione era parecchio diversa, il Mali era in una fase di piena avanscoperta delle radici e le volontà erano quelle di portare alla luce uno scrigno di emozioni musicali derivanti da antiche tradizioni e dalla fierezza intonata in rapporto ai patronati familiari; dopo la sbornia inevitabilmente conseguente al successo della formula e che ha portato Ali in tutto il mondo ad esibirsi, lo stesso si è ritirato in patria, diventando ministro della cultura del Mali e cercando nuove soluzioni musicali: in Savane, uno dei suoi capolavori pubblicato postumo alla sua morte, Ali cercava possibili connubi con armoniche e sassofoni educatamente adattati alla purezza della sua musica, esperimenti che aveva accantonato al tempo di The River. A livello musicale tutto ciò che è provenuto dal Mali ha dovuto fare i conti con questa nobile eredità suscitando un rinnovato interesse con il blues (legato al Mali quasi come un filo diretto) e dandogli una prospettiva sincera, lontana da quella mancanza di sentimento e di provocazioni che usualmente voleva esprimere.
Nelle nuove generazioni di musicisti del Mali, impostati alla maniera di Ali, sembra che tra i musicisti più preparati ci sia Samba Touré: è un chitarrista molto valido e sta riscuotendo molto consenso negli ultimi tempi grazie al fatto che a livello tematico sta tentando di denunciare le preoccupazioni che il paese ed i suoi abitanti stanno soffrendo per via degli attacchi bellici, per la perdita progressiva della coscienza sulle tradizioni e per i problemi economici che la affliggono. Dopo un paio di albums che difficilmente si potrebbero attribuire a Samba per via di nette somiglianze di costruzione al suo mentore Ali, è stato nell’omaggio fatto a quest’ultimo in una compilazione del 2009 “Songhai blues“, che Samba impose una propria visione. Egli non seguiva né le forme usate da Ry Cooder (il chitarrista americano fu rispettoso delle forme tradizionali in Talking Timbuktu, cercando di essere “invaso” dalla bellezza delle armonie e dei ritmi maliani), né aveva gli umori evocativi di Ali. Specie con “Crocodile Blues“, l’ipnotismo da adesione al modello John Lee Hooker, veniva condiviso con i tipici arpeggi e ritmi inequivocabilmente indirizzati al sound africano, ma lo scopo era quello di “annerire” i temi, con una punta arabizzata.
“Gandadiko” eleva a culmine interpretativo quel percorso costituito in tandem tra musica e testo, per denunciare i soprusi della società, ed avvertire del pericolo sempre più incombente la comunità occidentale e locale: se da una parte è vero che in queste dichiarazioni sociali manca la novità e qualche sospetto di artificio assale le nostre cognizioni, dall’altra il gioco riesce bene quando si fa comunque buon uso della mescola degli elementi melodici e ritmici; in tal senso è impossibile non innamorarsi del beat di Touri Idjé Bibi o dell’impasto ossessivo della title track.