Chitarre incoscienti per soggetti coscienti

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Dinanzi all’evidente arsenale di possibilità che l’elettronica e le conquiste digitali hanno messo a disposizione dei musicisti, il vero problema è saper individuare direzioni nuove dei suoni che non rientrino in un lapalissiano tour di sonorità già verificate altrove. In questa scelta, non secondaria è l’enfasi ricercata sul tipo di strumento utilizzato e gli aggeggi che ne permettono il funzionamento.
Per quanto riguarda la chitarra elettrica l’uso di pedaliere, distorsori, etc. ha permesso di impostare con maggiore efficacia i pensieri e l’espressione dei suoi autori, anzi si può dire che in tempi recenti la sovraesposizione abbia addirittura reso difficile capire se si è di fronte ad una chitarra o a qualcos’altro. Tuttavia la maggior parte dei chitarristi italiani non sembra aver avuto voglia di spingersi esteticamente oltre misura e si è formalizzata consapevolmente su un canovaccio/binomio tra chitarra e tecnologia che vede quest’ultima ancora pienamente al servizio della prima: soprattutto nell’improvvisazione jazz il principio è stato accolto con favore e senza remore.
Dopo il lungo periodo vissuto con l’Art Studio (un progetto che in realtà sembra rinfrescarsi ad ondate), il chitarrista torinese Claudio Lodati ha imbastito la sua accattivante idea di musica: sbilanciato sul versante della vocalità femminile, della sperimentazione in live electronics e con una vena etnica particolarmente gradevole, Lodati ha avuto sempre un’opinione chiara delle sue improvvisazioni; molti lavori alle spalle, il torinese ha pubblicato alcuni albums importanti, che sono stati letteralmente trascurati da critica e audience: prodotti nemmeno particolarmente difficili, vista anche una propensione melodica del chitarrista in mezzo a tante anomalie. Quali sono questi eventi, mi direte voi?
1) la splendida collaborazione con la cantante Ellen Christi: “Dreamers” (1990) e il live “Vocal desires” rappresentano un raro muro contro muro di due tendenze, di due modi di affrontare l’improvvisazione. Ellen esauriva un repertorio vocale fantasioso (a proposito che fine ha fatto?), stimolando con la sua morbidezza degna di una Jeanne Lee, le altrettanto variegate fantasie di Lodati;
2) la seconda vocalità importante ad essere documentata è stata quella con Pascale Charreton (in un trio con la seconda chitarra di Maurizio Brunod): “Blue Gulf Stream” conteneva grandi brani, imparentati con un jazz di spirito etnico, profuso verso la canzone popolare e verso il beat dell’Africa del centro-ovest;
3) l’incontro musicale con l’esperto di informatica e musicista Marco Giaccaria, che produrrà “Lupi”, un’esposizione avventurosa e subliminale, con veri e propri sketches musicali preconfezionati al computer a cui Lodati ha dato probabilmente le migliori risposte sperimentali di sempre.
L’entrata in Setola di Maiale è stata controversa, poiché “Flash”, un trio a corde intitolato Elleffedi con Antonio Fontana e Tommaso Detesta, ha dovuto compensare l’inconsistenza di “Plot“, un duo non troppo riuscito con la Cangini. Quest’ultimo “Animal Spirit” è realizzato completamente in solitudine e dunque può considerarsi il suo secondo solo dopo Secret Corners del 2002: “Animal Spirit” è completamente diverso da Street Corners e rimette le cose a posto approfondendo in maniera chiara e significativa la zona electronics, con poche concessioni alla melodia e una ricerca di stralunate situazioni. L’uso dei loops è fondamentale per la riuscita del lavoro, ma Lodati sembra ancor più in forma di essi, rimarcando quella sua qualità di sapersi acclimatare a qualsiasi dialogo o fonte sonora indiretta: ne viene fuori qualcosa che sta tra gli esperimenti simulatori dell’elettronica moderna, l’Hendrix del feedback da flusso di incoscienza di Are you experienced e una sorta di sonora militanza. Il filo conduttore è ancora la replica animale, vissuta in modo onomatopeico e decostruttivo, quasi si fosse persa una qualsiasi dimensione dell’intelletto.

Se Lodati ha già una lunga storia da raccontare, i giovanissimi Lucio Tasca (chitarra, anche preparata e loops) e Nicola Pedroni (percussioni, elettronica ed oggetti vari) non ne hanno proprio una: muovendosi su coordinate similmente tese alla ricerca di un proprio eclettico suono, il duo Cu di “Cuscape” segna l’esordio discografico di due giovani musicisti che cercano aderenze espansive dei propri strumenti o tramite dinamiche fondate sullo space sound o ricadenti nel lato subdolo dell’area percussiva, ma non c’è dubbio che esse presentino anche una moderata vena dissacratoria, verificabile in Asce di guerra o Divisa, in cui una morbida spersonalizzazione dei suoni ed alcuni testi di passaggio, sembrano inveire contro il sistema legislativo o militare. E’ un controsenso che penso andrà decifrato in futuro. Al momento emerge la sensazione di un embrionale progetto esecutivo a cui manca solo un coordinamento (una buona strada potrebbe essere quella intrapresa in White Lodge) ed una propensione valida al “commento” da cortometraggio o da installazione, temi in cui, specie Pedroni, ha già un’ottima esperienza.

 

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.