Alcuni capisaldi della musica d’avanguardia ebbero modo di elogiare le qualità artistiche del compositore Howard Hersh (1940): Pauline Oliveros affermò giustamente che “…the sensitive and exciting music of H.H. belongs in the American canon…..“, mentre Terry Riley parlò a proposito di lui come di “..one of the masters of the California music scene, the author of music of the heart, guided by a keen intelligence...”; Hersh condivise con Riley nel 1994 un periodo molto importante della sua carriera, quello dell’associazione cooperativa tra compositori di nuova musica del Nevada, paese in cui Hersh dimora e compone: in quell’ambito emergeva un trasporto verso la composizione mista alle arti visuali e performative allo scopo di rendere edotta la comunità rurale. E l’istinto stilisticamente intriso delle visioni offerte dall’americanità musicale del novecento è la principale guida per intromettersi nel mondo musicale di Hersh: tonalista fantasioso non sinfonico e all’occorrenza studioso post-moderno, il compositore americano ha solo recentemente ottenuto delle prime registrazioni della sua musica, tramite un cd di chamber music pubblicato dall’Albany R.; affidato alle mani della pianista Brenda Tom, viene pubblicato un altro cd monografico incentrato stavolta sulla “tastiera”: vi figurano due composizioni per piano concertante (il suo Concerto for piano and ten instruments) e piano solo (Dream), di fianco ad una per clavicembalo solo, in forma di suite, che dà anche titolo alla raccolta (Angels and watermarks). Si scopre, così, una scrittura melodica di gran spessore che naturalmente non segue in maniera pedissequa i soliti rimandi all’impressionismo europeo o comunque della belle epoque francese, ma si incanala in quell’incrocio stilistico che ha permesso una profonda fusione di intenti tra la musica classica del vecchio continente e le popolari vie di rappresentazione della musica americana. Per Angels and Watermarks mi sento di soffermarmi soprattutto sul tentativo del compositore di arricchire il patrimonio-repertorio del clavicembalo, posto che la sua riscoperta ha provocato considerazione diversa nei pensieri dei compositori; la modernità applicata spesso ad uno strumento rinnovato nelle sue caratteristiche tecniche ha lavorato molto sulla distribuzione delle timbriche, gettando un ponte di ricerca molto in avanti coi tempi: nel contemporaneo, i lavori seminali di Ligeti (Continuum), di Xenakis (Khoai o Naama) o Sciarrino (De o de do) spaventano qualsiasi clavicembalista per la risaputa difficoltà delle composizioni che non sono finanche proponibili per una corretta interpretazione della partitura e che forse impongono nella memoria un’immagine singolare dell’opera dei loro autori, soprattutto in rapporto alle proprietà di stile di essi.
Hersh non lavora sulla decostruzione dei temi, non l’ha mai fatto, e fondamentalmente la sua opera si inquadra nel lavoro oscuro fatto da tanti compositori americani da metà novecento in poi, per creare una quasi nazionalistica letteratura dello strumento harpsichord: se si va a scavare in questa piccola oasi di creatività si troveranno i lavori di Samuel Adler, Henry Cowell, Harold Meltzer e tanti altri, uniti tutti da un unico filo conduttore, una prospettiva che mette assieme il passato “migliore” di uno strumento oramai non più costruibile con le caratteristiche del passato (rinascimento e soprattutto barocco) e anche le velleità delle metodologie dell’arte statunitense (gli influssi primordiali della materia jazzistica, dal rag al blues, fino alle ultime avventure anticonformiste rinvenibili sotto forma di scampoli di minimalismo). Scarlatti di fianco a Scott Joplin o Rameau che dialoga con Philip Glass. E’ significativa l’ispirazione venuta dalla novella omonima di Miller, in cui si forniscono i metodi per arrivare al risultato finale di un dipinto, per cui alla fine si scopre che più che il risultato, sono importanti i mezzi utilizzati per giungerci: ossia l’arte pittorica e la sua storia.
La fantasia di Hersh è pensata per entrare nel gotha di questo tipo di composizione, studiata non per offrire virtuosismi inarrivabili di sorta imparentati con elettronica o altri aggeggi modificativi, ma per creare legami, condensazioni, che non facciano dimenticare che il mondo è molto più umano di quello che si pensa.