Le multiformi direzioni intraprese dall’elettronica permettono oggi di fare un meraviglioso consuntivo su come si è mossa la ricerca nel cercare di trovare delle strade di transito con la strumentazione ordinaria soprattutto ai fini musicali ed estetici: è palese come alcuni orientamenti stiano tornando di moda (il grande revival del synth) ed altri che sono sempre più ingabbiati in una nicchia strettissima di consenso che fa fatica persino ad arrivare fuori la porta delle università (molte frange del concretismo e dell’improvvisazione elettroacustica); il compositore Dario Palermo (1970) appartiene a quella schiera di compositori a cui non interessa certo lo scambio di popolarità e, inoltre, conosce bene i punti lacunosi del repertorio in cui intervenire per offrire un prolungamento delle soluzioni, in modo da far valere il proprio pensiero e la propria creatività.
Questa prima monografia pubblicata dalla Amirani R. nell’ambito delle proprie pubblicazioni dedicate alla musica contemporanea, raccoglie tre brani programmatici che si dirigono nelle pieghe recenti del settore elettroacustico, concentrandosi sulle potenzialità del live electronics eseguito in tempo reale in un ambito acustico. Molti penseranno di trovarsi di fronte ad un binomio antico sul quale spolverare i fantasmi del passato con qualche idea sonora, ma in verità esistono rilevanti spazi di approfondimento che solo negli ultimi quindici anni hanno avuto la possibilità concreta di incominciare a realizzarsi, dopo l’urto tremendo che il “nastro” ha dovuto subire a favore del “file” (si parla di fine dei novanta); Palermo nel 2003 fu selezionato dall’IRCAM per le sue competenze tecnologiche, dopo essere stato un collaboratore importante di Luca Francesconi nell’associazione dell’Agon (un rinomato centro di ricerca elettronica con sede a Milano): ricalcando la filosofia di approccio del compositore al mondo degli elaboratori, Palermo ha curato l’importanza del progetto, dell’interazione, guardando all’elettronica e ai suoi utilizzi in maniera misurata, agganciandosi alle vere esigenze della composizione.
I tre archetipi strumentali presi al vaglio nella monografia sono quelli dello string quartet, della percussione in solo e della vocalità, temi che risucchiano anche l’esperienza improvvisativa: The difference engine, per quartetto d’archi amplificato, mezzo soprano ed elettronica real time, si colloca nella minuta esplorazione fatta dal mondo compositivo contemporaneo nei confronti del quartetto visto in forma additiva: dalle mie scarne ricerche penso che non ci siano più di 60/70 composizioni specificatamente dedicate a questo argomento. Lo string quartet con live electronics è un espediente che, dopo un timido approccio fornito dai minimalisti (penso al Triple Quartet di Reich ancora fondato su un phasing esterno integrativo), è stato affrontato in maniera più estesa dagli spettralisti, sebbene gli stessi solo in rari casi abbiano previsto un coinvolgimento completo degli strumentisti; la partitura andava a scovare aree di suono che venivano opportunamente modificate dietro il palco da un operatore esperto, con l’incarico di far risaltare glissandi, arpeggi e tecniche non convenzionali (esempi sono la Nimphea di Saariaho, lo String quartet no. 4 di Harvey o i più recenti string quartets di Haas); Palermo si insinua in un vuoto del repertorio, unendo le due parti (quartetto ed elettronica) con la vocalità di Catherine Carter: ne viene fuori qualcosa di sorprendente e subdolo che potrebbe confondere la Natura morta con fiamme di Romitelli con il linguaggio non sense ed amorfo che transita tra Berio e Sciarrino nelle loro opere dedite al canto: lamenti stilizzati, accenni di canto operistico che non decollano mai e un quartetto straniante rendono molto affascinante la composizione, in cui molta parte della difficoltosa perfomance è nelle mani del quartetto più vicino alla stesura di questo tipo di sonorità, l’Arditti String Quartet.
La vocalità del “rifiuto” diventa padrona in Trance: “Five abstract stations”, in cui Jean Michel Van Schouwburg tira fuori una delle sue migliori “incomprensibili” interpretazioni: qui il connubio solo voce ed elettronica dal vivo ricalca le preziose e sparute esperienze improvvisative fatte da Casserley; così come RO – Premiere danse de la lune per percussioni amplificate ed elettronica real time, induce alla scoperta dell’eclettismo del messicano Milo Tamez, coraggioso percussionista per cui il gesto e l’avanscoperta sonora sono dei sani principi da rivendicare.