Il Clockstop Festival dell’improvvisazione libera

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Non è la prima volta che ho sottolineato come un piccolo paesino della Puglia Centrale sia da considerare come il principale polo delle avanguardie della free improvisation nel sud Italia. A Noci è da tempo che un pool di improvvisatori si sforza di divulgare un verbo musicale di assoluta mancanza di clamore nella popolazione, ma di contenuto artistico: una continua cernita di occasioni, manifestazioni concertistiche di assoluto valore, nonché seminari ed incontri sugli argomenti dell’improvvisazione libera sono tra le tante faticose idee utilizzate per divulgare un verbo in cui si crede fermamente e per lasciare un insegnamento utile alle nuove generazioni, che si approcciano con tanti ragionevoli dubbi nel settore: la 3 giorni in prima edizione del Clockstop improvvisativo, che ha visto radunarsi una serie di musicisti provenienti da tutto il mondo, in un’esibizione casuale dettata esclusivamente da parametri artistici e curata dall’instancabile percussionista Marcello Magliocchi con la collaborazione di Vittorino Curci, assume i contorni di uno speciale festival aggregativo, anche diverso dai soliti workshops che in giro per l’Italia trovano il loro spazio; nel corso di più di cinque ore a serata Magliocchi (nella cornice del Chiostro delle Clarisse), quasi a mò di concorso, si è adoperato per scalette musicali real time, composte da abbinamenti evidentemente pensati anche in funzione di un risultato scenico. Io ho partecipato alla seconda serata del Clockstop, una sorta di maratona dell’internazionalità musicale, in cui si sono succeduti alcuni “radicali” conosciuti e “misconosciuti” musicisti del settore; pionieri del free jazz europeo, improvvisatori orientali, giovani realtà dell’improvvisazione, giovani musicisti selezionati per il Festival e persino una danzatrice in tema. In un’atmosfera che era diretta conseguenza degli impianti stilistici di ciascun improvvisatore, l’idea era quella di sfidare l’invecchiamento temporale che potrebbe affliggere anche l’improvvisazione libera (giunta ormai a più di cinquanta di storia ufficiale e conclamata) mostrando pubblicamente le sue particolarità, le sue differenziazioni geografiche e le possibilità di condimento con i rilevamenti digitali.
Vi è che, specie nella libera improvvisazione, tutte le buone intenzioni non sempre si capitalizzano in un risultato utile; è un settore della musica tra i più affascinanti ma anche tra i più rischiosi che si conosca, e ritengo che per poter raggiungere uno zenith emotivo (da trasferire anche all’audience), è necessario farsi carico di quel muro subdolo mentale, da sorpassare attraverso il trasporto e l’interplay dell’improvvisazione, accettando di essere coinvolti dalla stranezza dell’espressione: questo obiettivo poco coltivato nei workshops, dovrebbe essere ricercato nei concerti o nei festivals, ma la contesa di poter offrire uno spettacolo di elevato contenuto artistico si è scontrata a Noci con un paio di barriere tecniche non pienamente gestibili: quella dell’acustica e dell’agonismo artistico.
Perciò se da una parte le esibizioni che hanno visto protagonista la teatralità canora di Van Schouwburg e le spericolatezze della danzatrice Sofia Kakouri (con il 876 trio + Del Piano e Guazzaloca) o quella del trio d’archi a sperimentazione mista con Jean Demey, Maresuke Okamoto e Matthias Boss (una vera sponda culturale e musicale), riempivano il gradimento non solo per la messa in mostra e la valenza delle tecniche non convenzionali esercitate, dall’altra quelle che, ad esempio, riunivano gruppi eterogenei in cui predominanti erano gli impasti dei sassofoni o delle percussioni (penso a quelli con Stammberger o con i giovani percussionisti) lasciavano spazio al caos improduttivo senza nessun raccordo possibile con l’omogeneizzazione dei suoni. E’ qualcosa che aveva a che fare anche con la natura dell’amplificazione e la struttura architettonica del Chiostro, in cui era chiaro che i sassofonisti ribelli coprivano le parti a tastiera. Penso che in quel contesto le pantomine con le biglie del belga Guy Strale, con tutto il loro reale carico artistico, avessero più armi per poter imporsi rispetto ai contenuti meramente timbrici di Stammberger o di Pellerin.
E’ su queste risolvibili variabili che dovranno essere migliorate le prossime edizioni della manifestazione, che spero Magliocchi prenderà in considerazione per una realizzazione perfetta: quella del Clockstop può costituire persino un trampolino di lancio per realtà emergenti come quelle che penso di aver inteso (in questa rappresentazione) nelle figure del pianista Antonino Yeknur Siringo o del trombonista Carlo Mascolo.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.