Non tutti hanno riflettuto sul fatto che nell’attuale Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire, ex Congo belga) si siano formati i primi dinamici spunti della world music tradizionale: il famoso Francois Lubambo Makiadi (in arte Franco) diede vita ad uno dei primi pattern chitarristici divenuti stile dell’intera Africa e ad un poderoso remake della rumba cubana che conobbe un antipatico risvolto politico. Per quanto riguarda le considerazioni sulla chitarra elettrica, Franco nell’epoca dell’elettrificazione insinuò uno stile alternativo a quello di Ali Farka Touré nel Mali (quello del cosiddetto soukous porgeva più la guancia all’aspetto ritmico-melodico e meno all’idioma orientale), mentre per ciò che concerne il successo di quel fenomeno che viene etichettato spesso come afro-pop, bisogna sottolineare che l’africanismo profuso nella rumba fu purtroppo oggetto di ricatti e di patti che limitavano al territorio la sua probabile espansione. Franco, non appena la grossa regione fu liberata dai belgi, subì l’intervento di un capo di governo sui generis, Mobutu Sese Seko, che introdusse forti pensieri nazionalistici nella musica del suo paese, elargendo sovvenzionamenti ai musicisti che appoggiavano il suo regime, non escluso lo stesso Franco. La liberazione nel ’97 di Kabila ha però lasciato altri problemi insoluti a Kinshasa: come spesso accade in questi casi, la destabilizzazione provocata dal cambiamento non è stata proficuamente portata a termine, tant’è che la vasta area urbana di Kinshasa soffre ancora oggi di una realtà particolarmente trasversale e violenta, che interessa i diritti civili dei cittadini.
Dal punto di vista musicale il cambiamento del tenore afro-popolare delle proposte di Franco e di gran parte dei più acclamati musicisti del Congo (dall’alter ego di Franco, il cantante Tabu Ley Rochereau, a Papa Wemba) è stato evidente e graduale; dapprima si è assistito a nuove fermentazioni urbane grazie all’opera di alcune orchestre locali particolarmente veicolate nell’idea produttiva (si pensi all’Orchestre Tout Puissant, un collettivo basato su un tema di folklore autentico importato dall’Angola e sul likembe, un piccolo pianoforte a pollice fatto con materiali poveri, collegato all’amplificazione), con la volontà di imporre una diversa considerazione delle istanze locali, semplicemente risvegliando in maniera intelligente gli istinti musicali folk dei cerimoniali; poi l’ingresso nel nuovo secolo ha affiancato a questi punti fermi della storia musicale congolese uno spazio frutto di un nuovo tipo di urbanizzazione, conseguenza diretta delle vicende sociali e politiche del paese e del fascino esercitato sulla gioventù musicale del Congo dall’esperienza della dance occidentale (rap, hip hop, trance, house e così via). E’ sulla base di questo interesse per nuove formule musicali, capaci di spazzare via passati ingombranti e costituire dichiarazioni del presente, che si basa l’esordio discografico per la World Circuit/Nonesuch del gruppo dei Mbongwana Star, una band di 7 elementi che abbraccia un particolare connubio tra musica congolese, elettronica leggera, distorsione ed elementi post-punk. Mbongwana in italiano sta appunto per cambiamento.
“From Kinshasa” è un tentativo di ammodernare le strutture al pari di quanto è successo in Sud Africa, dove i dj hanno preso in carico la scena locale per cercare di scardinare molti preconcetti sulla musica prodotta in Africa (dalla scarsità dei materiali creativi all’incapacità produttiva); si tratta di formule che hanno tutta la voglia di imporsi per il carattere minaccioso e la potenza del messaggio. Difatti “Shégué” è un gran pezzo, che distilla un beat oscuro che tiene dentro anche la chitarra di Franco; così come il serrato incedere di Ngashé è una protesta che fa pensare alla subliminalità di certe reazioni utopiche dei Talking Heads; mentre Malukay vi trascina in una speciale trance etnica dove l’impulso elettronico potrebbe venire da uno spunto dei Battles.
Quello che la stampa internazionale vuol fare emergere da From Kinshasa è una visuale futuristica della musica congolese, dove in verità il termine futuristico andrebbe usato con le dovute precisazioni e cautele, ma contiene anche una provocazione ed una speranza al tempo stesso che affascina. Subisce le lusinghe dell’elettronica occidentale, ma mantiene una sua dignità etnica ed indica un possibile percorso di miglioramento sulla strada del congotronics già segnata dallo scomparso Mingiedi Mawangu e la sua Orchestra folklorique T.P. Konono.