La presentazione di suoni sgradevoli, provocati dal linciaggio del canto, di note o accordi volutamente non rientranti nell’abbecedario ordinario della musica, costituisce una parte considerevole del lavoro svolto in Setola di Maiale. Nell’ambito delle nuove pubblicazioni discografiche e soffermandomi solo su quelle realizzate da musicisti non italiani, interessanti applicazioni del principio appena citato possono prendersi in considerazione; si tratta dei 23RedAnts, il duo Vinny Golia/MaryClare Brzytwa e il duo Anders Lindsjo/Jakob Riis.
I 23RedAnts sono un binomio di Vigo composto da Macarena Montesinos e Niet F-n: mentre la prima è una violoncellista impegnata a far suonare il suo strumento grazie a pedali, oggetti ed elettronica collegata, il secondo è un sound artist scoperto da Giust nell’esperienza dei Ranter’s Bay, un apocalittico gruppo aperto alla lotta e alla resistenza, basato sul campionamento non digitale.
L’affrancamento dei due musicisti avviene proprio sul campo delle idee: sia per la Montesinos che per Niet F-n lo scopo della rappresentazione viene raggiunto tramite l’ausilio dei vecchi stadi dell’elettronica (i droni, il noise, i campi di registrazione, i loop ricavabili dall’amplificazione). Il progetto oggi si è ulteriormente ampliato, grazie alla partecipazione del chitarrista Pablo Orza, un improvvisatore libero della Galizia, fautore anche di un festival dedicato alle presunte diversità.
“Red Night” mantiene il tiro sui lavori sperimentali dell’improvvisazione provvista di basi acustiche ed elettroniche in cui la fanno da padrone la tensione amorfa del cello (che a volte colpisce con il drone e le sue micro variazioni), il glitch, i campi di registrazioni consistenti in proclami di radio, nonché uguale peso specifico viene dato alle pause per equilibrare le intensità e alle irregolarità che rendono irriconoscibili gli strumenti utilizzati. Il suono è molecolare e talvolta ostruito, tant’è che in Microbi sembra di scorgere una rilevazione di microorganismi che tentano di farsi presente da un tubo metallico. Una sorta di flessibilità della materia musicale. La forza di questo trio sta nel bilanciamento di tutti gli elementi, in modo da creare continuamente un interesse sonico, un perpetuo movimento sonoro in cui scoprire nuove configurazioni che restituiscono ambienti chimici. Solo il drone finale di Contrast sembra voler completamente cambiare le carte in tavola ed è un ulteriore spiazzamento.
L’improvvisazione recente proveniente dalla California non può dimenticarsi di un suo mentore, da individuare nella figura del pluristrumentista ai fiati Vinny Golia: particolarmente conosciuto nel mondo per le sue tante collaborazioni internazionali, Golia ha tenuto a battesimo tutta la scena degli ultimi vent’anni del jazz e dell’improvvisazione libera dell’ampia zona californiana, avvicinando molti dettami contemporanei all’improvvisazione e creando un’etichetta discografica, la Nine Winds, conosciuta molto bene dagli appassionati per un certo jazz, anche free, ma di fatto restata un oggetto defilato in termini di diffusione internazionale.
Tra i tanti improvvisatori validi della zona di S. Francisco, la flautista MaryClare Brzytwa è una delle musiciste che, per le sue registrazioni, ha scelto soprattutto l’Italia grazie all’interesse della label di Stefano Giust: la prima considerazione utile sull’artista è il suo eclettismo; l’improvvisazione è sicuramente il centro dell’ispirazione di Brzytwa, ma non è l’unico canale possibile. La flautista americana, attraverso alcuni lavori densi di prospettive musicali incrociate, ha dimostrato di poter diramare le sue conoscenze musicali in tutte le principali modernità conosciute dalla musica e quando non è potuta arrivare col flauto è stata la sua voce che ha raccolto gli stimoli delle sue proposte: “Bebe Donkey” (in collaborazione con il chitarrista Antoine Bertiaume) faceva mirabilmente sparire il timbro caratteristico degli strumenti; “MCB” tirava fuori la weird version di Vienna Teng (oltre a far riaffiorare pastiche particolarmente riusciti di flauto barocco e progressivo); “Stairwells” spostava il tiro sulla disperazione vocale e l’empasse elettronico tra una Bozulich e una Galas più domata.
L’ultimo lavoro per Setola della flautista è proprio una collaborazione con Golia e, per quanto riguarda la Brzytwa, è un’altra dimostrazione di versatilità compositiva: “Brzytwa/Golia” si inquadra nell’improvvisazione libera al flauto ed in particolare alle relazioni possibili nella sua famiglia. Mentre MaryClare si occupa principalmente del contralto e del traverso, Vinny si dedica ai toni bassi (flauto basso e contrabbasso): in più un’indispensabile morsa di collegamento è fornita da una parte campionata con max-msp, volutamente spruzzata nelle intersezioni della musica dei due flautisti con un’evidente irrazionalità logica. Quello che succede in “Brzytwa/Golia” non fa pensare solo ad un dialogo di quelli a cui siamo abituati nella free improvisation ma anche a qualcosa che subdolamente assomiglia ad uno stato di ribellione: è in questo senso che va forse interpretato un pezzo come Occupy Bom Bom. La stessa programmazione del suono sembra confermarlo con l’invito rivolto a Justin Asher, un designer compositore che sembra si occupi proprio delle contrarietà musicali fornendone degli archetipi di esse. C’è molta edulcorazione contemporanea in queste improvvisazioni, con Vinny che interpreta benissimo il ruolo del contrasto e MaryClare che sostiene le sue caratterizzazioni anche con il supporto vocale estemporaneo.
Due implacabili improvvisatori nordici del momento ritornano per Tack, un lavoro svolto quasi interamente a trovare massima cacofonia tra chitarra ed effetti stridenti pescati al computer: il chitarrista è il danese Anders Lindsjo (che si divide tra elettrica ed acustica), mentre il processore dei suoni al laptop è lo svedese Jakob Riis. Nella piena convinzione che il vostro ascolto deve superare l’unità al fine di evitare quasi certamente uno schock (specie per gli ascoltatori meno abituati a certe sonorità), le prime proiezioni degli ascolti successivi tendono a far sorgere spontanea una richiesta di chiarimenti che sia plausibile di fronte alle tautologie odierne. Bisogna inquadrare il lavoro dei due musicisti nel novero delle esperienze ricercate.
No sky, uno dei primi brani improvvisati tra i due musicisti che componeva No Denmark (un bandcamp album con 5 pezzi in cui Riis collaborava con alcuni dei più arditi sperimentatori in area svedese -Mats Gustaffson, Per Svensson e Christine Abdelnour Sehnaoui), era percosso da un intento rivoluzionario da trovare nell’ambito dei suoni proposti: l’esaltazione di posti poco esplorati degli strumenti, di concerto con un cinico uso del digitale, costituiva anche una programmatica dichiarazione di stop definitivo della musica, una ridefinizione che andava oltre le ovvietà. Imponeva un altro mondo di suoni il cui difetto era solo l’abituarcisi. Partite da qui per entrare nel mondo dei due musicisti nordici, anche perché No Denmark, se esistesse ancora il formato album, sarebbe un lavoro notevolissimo. Cominciate a distinguere le trame cercate nell’addentrarsi di un’esplorazione consapevole, poi passate alle evoluzioni di “Wrrp” (il primo lavoro completo del duo in cui Lindsjo è impegnato a chitarra acustica e banjo) e farete ancora nuove scoperte. Riis è particolarmente attivo in questi ultimi tempi, sta facendo cose interessantissime e completamente sottaciute dai media, con Lotte Anker, Bill Horist e Liudas Mockunas,. Forse Tack (che tradotto in italiano significa grazie) è più home computer rispetto a No Sky o anche a Wrrp, scatena un tipo di perversione musicale da stanza privata piuttosto che da spazio acustico aperto, meno finalizzata alla creazione di un fine ultimo sottinteso, ma comunque è un progetto ponte che riconosce una transizione necessaria per fare la conoscenza di un testardo pizzicatore di corde e di un intelligente e tremendo confezionatore di suoni.