Intrecci contemporanei ad Hanoi

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Mentre in Europa i musicisti dell’improvvisazione libera lamentano l’indifferenza degli organizzatori e la diminuzione degli spazi concertistici, in Vietnam un circolo di colti improvvisatori sta facendo di tutto per creare il contrario: la storia musicale del Vietnam ha certamente subito un trapasso economico, che passa attraverso un irrobustimento dei gruppi di studio, delle presenze culturali, la preservazione della propria tradizione (anche di fronte ad un evidente intromissione derivata dagli Occidentali) e l’allargamento degli spazi musicali e delle esperienze dei luoghi d’arte. Anche il linguaggio dell’improvvisazione sembra si sia aggiornato assieme alla tradizione musicale, in un periodo in cui la globalizzazione pretende il comando delle operazioni: resta sempre una sorta di status connaturato alla persona che si insinua con un portamento storico nell’espressione sonora; tuttavia si tratta di improvvisazione che proviene da un segmento di compositori di estrazione classica del tutto votata alla stranezza delle soluzioni: c’è una vicinanza di molti compositori del Vietnam agli stilemi della musica contemporanea occidentale in un paese in cui atonalità, avanguardie post-Cage o sperimentazione elettronica e digitale sono ombre di cui non se ne riconosce la portata. Alcuni intraprendenti compositori/musicisti vietnamiti sono diventati dunque dei ponti rivelatori di una nuova nicchia colta della musica del paese, con preghiera di divulgazione delle proprie musicalità all’estero (prerogative raggiungibili con concerti e con la messa in atto di organizzazioni esterne).
E’ sulla base di queste considerazioni che la cantante Kim Ngoc, meritevole di aver creato un primo serio approfondimento dell’improvvisazione nel suo paese con le tematiche della sperimentazione (è a lei che di deve l’Hub for Experimental Music and Art nato a Hanoi qualche anno fa), ha lanciato nel 2013 un festival, l’Hanoi New Festival, teso a promuovere i connubi tra arte vietnamita, improvvisazione libera e trance contemporanea, coinvolgendo una serie di musicisti di nazionalità diverse, in un programma corale performativo che raccoglieva compositori/improvvisatori della scena nazionale vietnamita nonché alcuni improvvisatori europei particolarmente in tema; la Ngoc, che ha studiato a Colonia partecipando anche ai corsi estivi di Stockhausen, ha invitato un eccellente gruppo di improvvisatori dell’area nordica (i danesi Lotte Anker e Jakob Riis, gli svedesi Stefan Ostersjo, Terje Thiwang, Henrik Frisk) ed europei (il tedesco Burkhard Beins e i nostri Stefano Giust e Patrizia Oliva) di fianco a personalità artistiche operanti con direzionalità identica a quella della Ngoc (essi sono Nguyen Thanh Thuy, Ngo Trà My, Pham Thi Hue e Sonx), tutti muniti di propri strumenti tradizionali.
La registrazione di quell’esibizione è contenuta nelle tre parti di Being Together: impostato su un evidente interscambio di strumentazione dello stesso tipo tra oriente ed occidente al netto dei fiati (il canto, gli strumenti a corda artigianali, le percussioni, l’elettronica), il concerto si libra in un’atmosfera tipica del teatro contemporaneo: con il buio in sala e la luce esclusiva sugli artisti riuniti in semicerchio, esso trae linfa da un’enigmaticità dei suoni e del canto che denota specificità gestuali e posizioni elettroacustiche. C’è un profondo senso della modernità in queste improvvisazioni dall’aspetto allucinato che si porgono all’ascoltatore munite di due fattori chiave: il primo è l’aberrazione di qualsiasi esotismo della musica, dove la libertà che si concede al musicista è un frutto della volontà di trascendere immagini da paesaggio turistico per entrare nelle particelle intime della tradizione, quelle che consentono di separare un lamento antico del canto e trasporlo nella realtà odierna, fatta di solitudine, macchine e computer; il secondo è ridefinire un suono contemporaneo in Vietnam che non sia solo propaggine di teorie musicali occidentali, un evento sul quale lo stesso Occidente da tempo si sta interrogando senza avere più una risposta concreta.
La partecipazione di tutti i musicisti ad un sound senza confini, in cui ognuno porta in modalità distillata un pezzo di musica rimasto scolpito nella propria memoria, consente di intercettare emotivamente situazioni delle più disparate e distribuite sul piano temporale: il particolare stile libero usato su dàn tranh o dàn bau di fianco ad un campionamento può rivelare nuove prospettive per il mantenimento in vita di un senso dell’etnicità ma dare anche una giustificazione all’attuale contemporaneità occidentale (sarebbero auspicabili più interventi sul mondo della composizione/improvvisazione europea odierna integrabile delle nostre tradizioni).
E’ vero che le suites di “Being together” aprono scenari che non enfatizzano certo la melodia, ma è anche vero che le sonorità completamente liberate di qualsiasi orpello ideologico lanciano i semi di qualcosa che può perdurare; tutto funziona, dal guizzante canto onomatopeico in stile europeo all’agghiacciante lamento di un cerimoniale vietnamita del passato, dallo stridore di corde condiviso tra Bailey e non si sa bene quale locale sconquassato di Hanoi alle percussioni graffianti quanto il solco costruito dall’elettronica; così come i fiati (sax e flauto) risultano divisi tra l’azzeramento (dicasi soppressione del suono naturale) e una sponda free che sa tanto di locale jazz trapassato.

 

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.