
Le attuali intuizioni musicali di Andrea Massaria paiono integrarsi alla perfezione con quelle di Giancarlo Schiaffini: è un’integrazione fondata non solo sulla musica, ma anche su altri fattori; per ciò che concerne la musica, se la parte avant del trombonista non può dirsi certo una novità, quella di Massaria è in una sopraggiunta aureola di vivo fervore creativo. Il chitarrista friulano viene da un lungo periodo di rodaggio jazzistico, che lo ha visto crescere artisticamente in maniera progressiva: un primo punto di evidenza dell’artista si può trovare nell’esperienza del quartetto posto in essere con Gallo, Gandhi e Carpentieri, validamente esposta in Tra Apollo e Dionisio; uno stile promanazione di John Scofield lo ha accompagnato nelle altre collaborazioni, sempre più compiute nella ricerca di un’alternativa jazzistica, trovando contrasti di non poco conto con Arrigo Cappelletti e Alessandro Fedrigo; negli ultimi anni si è sviluppata la collaborazione con Schiaffini, che lo ha visto (assieme anche a Giuseppe Signorelli), imbastire musica per un racconto di Pessoa, “Il marinaio“.
E’ forse di qui che bisogna partire per analizzare “Corindilindoli”, una registrazione appena pubblicata per Setola di Maiale, di un esibizione di Massaria e Schiaffini fatta in una stanza al secondo piano di un palazzo abitativo al centro di Trieste, a cui era possibile partecipare solo in 20 persone! Una stanza tenuta dall’Associazione Culturale Musica Libera, organizzata a mò di teatrino e corredata del minimo essenziale per le rappresentazioni. Con i propri strumenti primari (chitarra elettrica e trombone), tante preparazioni ed elettronica pre-registrata, i due musicisti si sono imbarcati in una delle avventure musicalmente più rischiose che potessero affrontare. Il jazz di provenienza è stato privato dei suoi legami concreti con la musica e l’esibizione è andata alla ricerca di una magia dettata esclusivamente dall’apporto dei suoni improvvisati: la sperimentazione che aleggia in “Corindilindoli” è un coacervo di indizi musicali, di poetiche letterarie tutte da decifrare per un ascoltatore non dotato della sufficiente informazione culturale utile per carpirne i significati; ma da quella stanza è stato condensata un’idea molto più ampia di quello che si pensi, è il frutto di un pensiero che attribuisce alla musica dei ruoli ulteriori a quelli dichiarati dai musicisti e che possono essere trovati anche oltre la semplice performance.
Massaria ha avuto modo di progettare ultimamente panoramiche sonore intrise nei movimenti futuristici, ma l’esperienza con Schiaffini sembra voler affermare un legame più profondo con la poesia simbolista francese (da cui partiva il binomio musica-racconto del “Il Marinaio“), dove l’astrattismo poetico non vuole avere nessun aggancio con vicende sociali o politiche e basa tutto il suo fascino sulla possibilità subliminale di suscitare sensazioni nei presenti alle rappresentazioni. Suggerire contenuti emotivi del momento, questo è lo scopo di Corindilindoli, in cui la fantasia cerca di liberare qualsiasi limite attraverso suoni e rumori che si propongono futuristi solo nell’approccio.
Il “momento”, snaturato dai suoi connotati canonici, viene rappresentato con suoni in stile libero ottenuti in vario modo: Massaria usa oggetti e tecniche incentrate su ponti e la zona di accordatura, mentre Schiaffini fa di tutto per farci dimenticare l’uso del trombone in chiave jazzistica e i loro interventi sono delineati per sporcarsi, quanto più umanamente possibile, con gli effetti dell’elettronica: le voci della nostra veterana canora, Tiziana Ghiglioni e di Silvia Schiavoni in due brani, accrescono l’instabilità mentale delle strutture musicali. Un approccio superficiale, magari stimolato dai non sense della titolazione, non deve far pensare ad un prodotto aspro e irriverente; “Corindindoli” ha il pregio della “consonanza”, che è quella qualità di buona riuscita di ogni sperimentazione sui suoni: riesce in un armonico ideale pur non essendolo affatto e restituisce immagini che conducono ad isole del pensiero del tutto soggettive e che profumano di intelligenza sonora. Questa stanza di Trieste potrebbe fare storia: un progetto che può diventare un fiore all’occhiello della Setola di Maiale.

Naturalmente il cerchio si chiude con l’ambiente della propria stanza, che racchiude anche il pensiero e la coscienza: A proposito dell’oggettività dello spazio – pensare genera pensiero” è formata da un domestico suono di base (rumori che simulano strofinamento di posate o sgorghi d’acqua) assolutamente assorto in una psicosi che vuole dettare le regole di un ipotetico stato di attenzione dell’intelletto ripreso nella sua riportabile essenza di suono: un magnifico torpore di 18 minuti che è l’unica speranza di salvezza di questa civiltà.