L’ubiquità del “dove” nel progetto Meanza&De

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foto tratta dal sito bandcamp del musicista
Una delle profezie di Stockhausen che sembrano sempre più aderenti alla realtà musicale in sviluppo fu quella di pronosticare una severa correzione tra musica di ricerca o comunque proponente al raggiungimento di una verità spirituale e musica di intrattenimento, incapace di avere qualsiasi caratteristica del genere; una nicchia contro una marea dilagante. Tale distinzione che negli ultimi anni ha avuto modo di porsi in maniera significativa ed allarmante (aiutata persino dalle maestranze teoricamente più vicine alle nicchie) è la stessa che regge la distinzione tra musica con povertà di contenuti ed arte musicale. In quest’ultimo àmbito l’idea costruttiva che sottintende alla musica, sta diventando il catalizzatore principale per una buona distinzione delle proposte: sia che si parli di musica elettroacustica che di libera improvvisazione su strumenti acustici, sia che si parli di ricerca complessa orchestrale che di ricerca di nuovi suoni determinati da un computer, è sempre necessario valutare l’idea di fondo e la sua estetica (quest’ultimo altro fattore caduto nettamente in crisi).

Michele Pedrazzi, in arte Bob Meanza, è un musicista impegnato nell’elettronica nato a Verona nel 1978 ed espatriato a Berlino, dove ha potuto trovare un ambiente più consono alle proprie prospettive: nel 2013 Meanza si è fatto notare per un interessante progetto d’installazione intitolato Cicadas, notato anche al Robot Festival di Bologna nel 2013, in cui ha escogitato un sistema artificiale di insetti musicali da far suonare sotto forma di aggeggi meccanici liberamente posizionati in un ambiente delimitato o nell’ampia zona naturalistica dei parchi, che emettono suoni simili a quelle delle cicale dietro comando elettronico. Lo scopo del progetto realizzava con molta sagacia il tentativo di riposizionare aspetti sonori tipici di un ambiente, trapiantandoli in un altro privo di queste caratteristiche. Ad ogni modo Meanza, anche nelle esperienze compiute di contro all’improvvisazione libera o jazzistica (ha anche studiato jazz), sembra voler evidenziare la qualità dell’amalgama ottenibile nella musica attraverso il rimpasto dei suoni: di questo avviso è anche il progetto Meanza & De in “OU”, in cui il glitch di Meanza si unisce al lavoro di Filipe Dias De, un suonatore di sitar completamente atipico se rapportato al carattere filosofico espresso dallo strumento in India; con lo strumento liberamente processabile si riescono ad ottenere più qualità artistiche: una sua levigazione lo rende idoneo all’amalgama con i suoni di Meanza, mentre l’accrescimento del suo timbro metallico lo fa diventare archelogico; l’intero lavoro di rimodulazione dei suoni scovati al laptop da Meanza tende verso la trasposizione immaginaria dei mondi sonori: una splendida e tangibile prova viene offerta in L’età del ferro, cinque minuti di comunicazione con la materia viva del passato remoto. L’elettronica fornita contiene comunque quel rispetto per le diversità culturali (ancora evidenziate nonostante la decostruzione dei suoni) mantenendo anche qualità armoniche inaspettate, fattore che la moderna attività di ricerca suoni sui computers tende a mascherare (vedi in tal senso il lavoro di Holly Herndon).