Può esistere una teoria che attribuisca in maniera sistematica al potere dell’improvvisazione una concreta capacità di collegarsi alle emissioni sonore degli animali? Stando alle opinioni di David Rothenberg, filosofo, compositore elettroacustico e clarinettista eclettico jazz, è possibile sicuramente creare un linguaggio di interposizione, anche casualmente jazz, che si raccorda per raccogliere segnali non decifrabili in prima approssimazione. Rothenberg (da non confondere con il musicista Ned) si è reso protagonista di un approfondimento sui rapporti tra alcune specie animali e il suo clarinetto in stile Hermann, andandosi a piantare direttamente negli ambienti degli insetti, delle balene o degli uccelli. Rothenberg si è mischiato con i beccafichi, i grilli o i tordi oppure su una barca munita di un microfono sottomarino ha cercato di captare i segnali delle balene per imbastire un’improvvisazione. Qualcosa di profondamente diverso da una generica affermazione artistica frutto di un riferimento agli animali e alla loro funzione espressiva.
Quello degli esperimenti che tendono a ritrarre il linguaggio animale non è naturalmente una scienza dell’oggi: ci sono stati degli esempi illustri nella musica che, convinti di potenzialità sconosciute all’uomo, hanno cercato di impostare una vera e propria teoria della composizione mutuata dal regno animale. Il più importante e il più sensato di tutti fu Messiaen, assertore delle capacità innate degli uccelli, il cui “canto” presentava delle caratteristiche musicali impossibili da replicare per l’uomo; egli, tuttavia, ne studiò così bene le qualità che fu in grado di rappresentarle, cercando di fare una cosa inaudita, ossia entrare senza presunzione nel loro mondo. Si può discutere oggi se scientificamente parlando ci siano nessi con la musica (la scienza è compatta nell’azzerare qualsiasi possibilità creativa nelle evoluzioni del cinguettio degli uccelli), ma è difficile negare che la materia animale non invii segnali sui quali la nostra attenzione dovrebbe capitalizzarsi, In retrospettiva storica non bisogna dimenticare di come gli animali suscitavano le ansie degli uomini per via dei loro “segnali” spirituali.
Sebbene Rothenberg abbia tentato anche simulazioni di suoni naturali, egli non fa un’operazione del tipo di Messiaen, poiché rimane fedele ad un suono collaudato del clarinetto: la relazione tra il suo strumento e quella dei suoni del regno animale è del tutto inquadrata in una logica di interazione che riflette le sensazioni tra l’uomo ben definito e l’incerto àmbito espressivo delle specie; egli tende alla rappresentazione di un dialogo possibile utilizzando il linguaggio dei suoni con la prospettiva di renderlo universale. Certo è che nessuno nell’improvvisazione jazz aveva pensato di incrociare un prototipo musicale degli esseri viventi (penso ad un clarinettista moderno con tante influenze) con un campo di registrazione da cui trarre ispirazione. Non che questi esperimenti non ci fossero prima, piuttosto che provenissero da jazzisti. Al riguardo, nell’esercizio delle proprie funzioni jazzistiche Rothenberg può essere intercettato in un cd per la Ecm con la pianista Marilyn Crispell, in cui peraltro già emerge un substrato della sua personalità musicale interessato agli uccelli.
Un respiro animalista o naturalista della musica in definitiva si potrebbe riconoscere in maniera azzeccata quando si riconoscesse che i quattro elementi fondamentali della musica (melodia, armonia, altezze e ritmi) siano condivisibili nelle funzioni del linguaggio animale o naturale, tuttavia nel caso di Rothenberg resta ancora il dubbio di trovarsi di fronte solo all’esplicitazione di una relazione elettroacustica, magari anche corroborata con miglioramenti in fase di post-produzione così come succede nella recente collaborazione con il musicista Kohran Erel per i Berlin Bulbub; restiamo perciò fedeli alle sensazioni di Rothenberg che ha dato una sua spiegazione condividendo le teorie del deep listening della Oliveros, quantomeno per cercare di ottenere punti di riferimento creativo nei suoni. “…but naming doesn’t do so much for real hearing. Listening, I started to realize, is forgetting the name of the thing one hears. One must inhabit the full extent of a sound without being satisfied with any explanation of it. That is why I begin many a concert by playing along with a slowed-down phrase from a hermit thrush or nightingale, the offerings of these master avian singers are full of order, possibility, and space, the hallmark qualities of any of the best human musical phrases. If I am surprised and provoked by what I hear I will be inspired to join in. The birds get my own musical phrases going…“