Coloro che amano l’improvvisazione avranno certamente imparato a riconoscere che quella della vocalità promana oramai da direzioni non univoche: il gran lavoro che negli ultimi settanta anni si è svolto nelle scuole di musica è stato in grado di accorpare tutta una serie di tecniche, di gestualità, di espressioni e legami di plurima portata che di fatto scorgono a malapena le genuine intenzioni di personaggi storici come Ella Fitzgerald o Louis Armstrong; di acqua sotto i ponti ne è passata sia per delineare sviluppi nell’ambito del jazz più tradizionale e, sebbene silenziosi, passi da gigante sono stati fatti anche in materia di improvvisazione vocale interdisciplinare, liberamente ottenibile da sottoinsiemi in cui musica contemporanea o rock, opera o teatro musicale moderno convivono.
Pur nella considerazione evidente che vede le nuove generazioni poco interessate a sviluppi cervellotici della vocalità in ambito improvvisativo, non si può fare a meno di rimarcare le doti di quei cantanti attempati che ne hanno sposato in pieno gli obiettivi. Tra questi, in Germania, un gruppo a cui fare decisamente riferimento è quello sorto per merito di quattro elementi misti (Grankin, Zajac, Hummel e Kupper), che da tempo sta proponendo un unicum vocale di particolare efficacia e straordinaria bravura: i VocColours lavorano nelle aree aperte da Berio e Kagel dedite alla scenografia e alla sclerosi del canto moderno, quello che dopo il 1950 circa interruppe la ciclicità sterile del canto operistico e delle sue forme. “Luxatio” è la loro seconda prova ufficiale discografica e li vede esibirsi assieme a Eberhard Kranemann, un musicista a cui gran parte della stampa specializzata non riconosce lo status di fondatore dei Kraftwerk; il problema, purtroppo, non sta nella storia (Kranemann aveva già organizzato un’aggregazione minima nel 1967 anche se mancante di nomenclatura ufficiale), quanto nella musica suonata, perché Kranemann in quegli anni veniva considerato proprio un improvvisatore jazz specializzato sugli strumenti a corda (contrabbasso, violoncello, chitarra) e suonava pedissequamente con il batterista Paul Lovens (conosciutissimo jazzista free). In “Luxatio” le stimmate stilistiche virano ancora verso l’improvvisazione al contrabbasso con alcuni effetti di elettronica (nettamente lontani dall’elettronica diffusa dei Kraftwerk), ma la vetrina del protagonista è costituita naturalmente dall’opera dei VocColours.
Della preparazione professionale e delle tendenze stilistiche dei simpaticissimi cantanti tedeschi se ne era già accennato nel loro precedente cd per la Leo con Alexey Lapin (vedi qui), ma sarebbe un errore pensare che le performance del gruppo siano sempre identiche tra loro: io penso che essi regolino le loro velleità artistiche in base all’umore e al progetto da esprimere; così si spiega come Luxatio sia nettamente diverso da Zvuklang e da altre rappresentazioni che ho avuto la fortuna di ascoltare; il bellissimo dipinto intriso nell’astrattismo di Kranemann in copertina può essere fuorviante nel presentare il caos in forme vocal-musicali, né tantomeno può far pensare ad un accostamento nevrotico di quelli riusciti alla Ivo Perelmann; è invece un linguaggio conteso quello che vuole insinuarsi, un linguaggio immaginario che sotto la frammentazione dei suoi elementi può passare come una felice drammaturgia, una circostanza di cui invero in Europa e nel mondo si contano pochissimi rappresentanti, del tutto invisi nel mondo delle espressioni vocali non convenzionali. E’ quel mondo che Sciarrino e Moss hanno cercato di rappresentare, prestando dignità ai suoni non desiderati o secondari della nostra voce.
Seguire l’operazione di Luxatio significa creare delle parentesi uniche tra una linea di contrabbasso e la sua contiguità con il suono vocale (vedi Osmosis), significa trovarsi nella deframmentazione di uno spazio geografico canoro tra santoni orientali, maghi dell’Africa e della natività americana, tra scat accennati e teatrini non-sense, condividendo amichevolmente nell’improvvisazione di gruppo la pesantezza della vita attraverso espressioni escluse da qualsiasi vocabolario della musica, che fungono da liberazione (vedi Taiga o Bassanoia). La presenza di Kranemann ha evidentemente ispirato il gruppo verso territori più aspri, lasciando intendere che Luxatio potrebbe rivestire i panni di un lavoro kraut di improvvisazione vocale libera, un’iniezione sperimentale ed innovativa la cui dimensione spero venga capita. In tal senso i VocColours potrebbero essere i “maledetti” dell’arte visti dall’ottica di Berio: “…..Non c’è nulla, sia nell’arte che in natura, che significhi solo in rapporto a se stesso. (..) Nella creazione artistica c’è sempre la tendenza alla modificazione attraverso atti di “destorificazione” di una precedente intesa linguistica; il prezzo dell’esperienza creativa è che si “fa la storia” destorificando il linguaggio, in apparenza. E’ quasi un porre la vita – un’idea della vita- come inconciliabile con la storia oppure come porre un gesto e un fatto inconciliabile con la vita. Chi inventa, in arte, inventa anche -sempre- questa inconciliabilità prima di inventarne la soluzione reale. La soluzione reale la propongono gli altri, dopo (….). Per questo l’artista è sempre un pò “maledetto”. (da L’opera per sua natura, un testo manoscritto con correzioni di Berio, tenuto presso la Paul Sacher Stiftung).