

Il recente tentativo di Tigran Hamasyan va verso direzioni simili: giovanissimo pianista dal tocco jarrettiano, Hamasyan è un prodotto della molteplicità delle visuali artistiche che colpisce molti musicisti odierni, di saper ottenere stimoli anche da generi musicali distanti tra loro: con “Luys i luso” il pianista armeno compie un vero balzo qualitativo nella sua carriera, mettendo davanti al pianoforte armonicamente impostato al jazz e alla modalità, un coro appositamente costruito per modernizzare canzoni, inni e passi liturgici di una serie di compositori armeni anche molto sbilanciati temporalmente; vi sono riferimenti ancora a Gregorio di Narek, vissuto tra il 950 e il 1000 d.C., mistico medievale che ha appena ricevuto il titolo di “dottore della chiesa” da Papa Francesco; oppure siamo condotti al monaco Mekhitar di Ayrivank, riconosciuto custode epistolario che scrisse anche musica sacra intorno al 1260 d.C. (la cantante Isabel Bayrakdarian ne fornì una sontuosa versione registrata in Joyous light); l’antichità del lascito armeno si spinge anche verso le sue origini con colui che si reputa sia l’inventore dell’alfabeto armeno, Mesrop Mashtots, vissuto intorno al 400 a.C., con una importante presenza di composizioni liturgiche. Naturalmente tra il materiale di studio non manca quello riferito a Komitas Vardapet e ad altri autori armeni (anche anonimi), tra cui un posto speciale occupa Grigor G. Pahlavuni con il classico di Ov Zarmanali. A proposito di dettagli, la forza di essi rivela lo stretto raccordo tra le idee di Hamasyan e la splendida compenetrazione dello Yerevan State Chamber Choir diretto da Harutyun Topikyan, poiché in Luys i luso è impossibile non vibrare di fronte alla bellezza del canto monodico ortodosso (la versione di Ankanim araji Qo di Mashtots), delle polifonie di matrice russa indebitate con l’Occidente (una prova di capitalizzazione sta in Voghormea indz Astvats sempre di Mashtots) e all’intensità melodica ed espressiva del piano che opera in simbiosi con il canto.
E’ un momento piuttosto esplicativo quello che si sta verificando tra i musicisti armeni, con una prevalenza dei pianisti “scopritori” di perle sonore: solo qualche mese fa vi presentai un cd di composizioni armene frutto dell’attività di ricerca di Mikael Ayrapetyan, in cui vari istinti stilistici venivano ad incontrarsi in un excursus temporalmente bilanciato; Hamasyan può considerarsi con grande raffinatezza l’equilibrio che sta tra una conservazione sterile del patrimonio sonoro e i ribaltamenti delle strade contemporanee; sta in mezzo, poiché il suo scopo è la creazione del chiaroscuro, della tensione nostalgica che in verità troviamo in tanta produzione Ecm (qui un forte esempio di compenetrazione si trova nella versione per solo voce femminile e piano di Havoun havoun di Grigor Narekatsi) e che fa parte del suo recital, è una musica del cuore e non solo del ricordo, ma sono alcune soluzioni che fanno pensare ad un netto avanzamento: qualche uso di pianoforte preparato e certe evoluzioni completamente estranee alla coralità ortodossa (il post-moderno utilizzato in Ov Zarmanali e in Nor Tsaghik di Nerses Shnorhali) potrebbero essere già i prossimi obiettivi da raggiungere se il musicista vorrà impegnarsi in tal senso.