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Sebbene al riguardo del termine sperimentazione, ancora oggi, non esiste univocità di fini e significati, individuare una scena sperimentale complessiva in Italia, significava probabilmente costruire un volume piuttosto cospicuo di nomi ed informazioni alla Scaruffi maniera (con un buon 80% di arte musicale sconosciuta), in cui tentare di raccogliere in maniera organica la materia sperimentale italiana. Un alternativa costituita con altre armi ma con identici scopi è quella fornita da Antonello Cresti, saggista e compositore addentrato negli aspetti culturali della musica underground inglese ed italiana, che dopo aver scritto un volume apposito sulla sperimentazione a livello globale, ha pensato bene di entrare a fondo nella realtà italiana con un taglio semplice e personale, che risaltasse gli elementi fondamentali delle diversità musicali nel nostro Paese.
“Solchi sperimentali Italia: 50 anni di italiche musiche altre” è, dunque, il tentativo di accogliere in un corposo volume di quasi 500 pagine tutta la materia disponibile senza aver pretese di onnipotenza informativa: Cresti mette su un campionario di registrazioni insostituibili ed usa nomenclature paragrafali diverse per indicare e trattare l’appartenenza ad un genere specifico: il prog-rock, la psichedelia, i riferimenti all’etnica, la musica industriale e il noise, l’elettronica vecchia e nuova, le bands metalliche, l’elettroacustica. Alla maniera di un Bertoncelli in stile schede Arcana del rock, gli artisti vengono menzionati con delle registrazioni selezionate, ad essi viene dedicato un breve e semplice commento alla musica e alla figura (cercando di evitare qualsiasi principio di biografia ed individuarne una dimensione nel tutto), viene fatto un consistente ricorso all’intervista esplicativa e si sfrutta la particolarità (per coloro che leggono il testo su un tablet od un cellullare con app relativa) dell’interattività dei mezzi moderni attraverso degli ascolti pilotati, che possono essere inseriti durante la lettura. Ne deriva, quindi, un abnorme flusso informativo e musicale che vive delle passioni incontrollate dell’autore su versanti ed artisti, di cui però si possono condividere diversi aspetti. Innanzitutto l’approfondito lavoro di ricerca, che passa in rassegna musicisti validissimi sepolti dal tempo e dall’ignominia ingiustificata (confesso che alcuni di loro erano sconosciuti alla mia esperienza d’ascolto) ed una selezione seria ed essenziale che mostra la sua valenza soprattutto in campi d’ascolto in cui la critica si è espressa con molta eterogeneità di gusti, creando spesso eroi di cartapesta (penso al metal o a certe diramazioni dell’elettronica). Se per sperimentazione accogliamo l’idea nozionale di costruire musicalità alternative, non intrise nell’ordinario, non vi è dubbio che le registrazioni proposte da Cresti si segnalano per la novità e l’imprevedibilità delle soluzioni ed è logico che l’autore sostenga l’importanza di quei ceppi di sperimentazione specifici del nostro Paese, tra cui un peso enorme fu quello fornito dal progressive degli anni settanta, come detto. Lo stesso Cresti, al riguardo, ha però più volte dichiarato che il suo libro esula non solo da qualsiasi trattazione enciclopedica, ma anche da un approfondimento di quella parte delle realtà sperimentali nate nel mondo accademico o dell’improvvisazione; perciò al riguardo una delle mancanze volute del testo è l’ampliamento della tematica alle zone di ricerca studiate dalla musica contemporanea o di quelle pensate dall’improvvisazione libera anche in forma elettroacustica, sebbene lo stesso autore non può fare a meno di evidenziare musicisti e compositori con cammini interconnessi, frutto della libertà e delle scoperte dei tempi odierni. Da questo punto di vista Cresti monta sulla prospettiva di una visuale degli eventi costruita “dal basso”, ove con questo termine si deve intendere lo scambio di elementi colti profuso da musicisti provenienti da settori teoricamente non in possesso di quelle qualità.
Il gran lavoro di raccordo svolto da Cresti fornisce una lista essenziale di nomi di musicisti e compositori delle ultime generazioni musicali aventi uno specifico peso e valore artistico, di fronte ad un fenomeno di riscoperta che sinceramente nel suo complesso ho sempre ritenuto sopravvalutato, in grado di poter parlare solo per vie giornalistiche piuttosto che per vie innovative. La selezione di Cresti è la strada giusta e sacrosanta per individuare veri conglomerati di sviluppo da affiancare ad una materia che è pericolosamente ingessata nel suo complesso e succube del passato (penso ad una improbabile nuova psichedelia o ad un nuovo progressive di marca italiana), a meno che non ci si liberi dalle forme. Fa piacere avere un testo in cui è bandita la concitazione terminologica fatta da giornalisti compiacenti per esprimere una positività a tutti i costi, quella discordanza colossale che tende a mascherare la mancanza di una reale progettualità innovativa e, nonostante qualche incomprensibile omissione, che potrebbe essere prontamente risolvibile in un aggiornamento futuro del volume (penso tra gli esempi, alla Die Schachtel e al fondamentale Agostino di Scipio), la pubblicazione di “Solchi sperimentali Italia” è come aver mandato qualcuno in prima linea in una battaglia di schieramento: quell’indispensabile bisogno di esplorazione e di chiarezza su argomenti fin troppo trascurati è la chiave per impostare un coraggioso gong di ripartenza della musica che conta.