Uno dei principali meriti del contrabbassista Dave Holland è stato quello di aprire le porte all’intersezione tra tecniche dell’improvvisazione e generi del jazz senza soluzione temporale: è una lezione che è stata portata avanti in maniera espansa dalle nuove generazioni e che sembra non ancora aver trovato una fine al suo interesse. Il caso del contrabbassista svizzero Luca Sisera è emblematico di come sia difficile ritagliarsi un posto oggi nel jazz dilaniato da mille falsi e tendenze; c’è una correlazione con la sua proficua carriera di musicista impegnata nella riuscita di progetti nominalmente altrui, condividendo la partecipazione democratica e gli obiettivi musicali. Quello che è il suo vero esordio per la Leo R., un progetto denominato Roofer in cui si ritrovano membra giovanili ed interessanti del jazz svizzero (su tutti il sassofonista tenore Michael Jaeger e il trombonista Silvio Cadotsch), non fa altro che richiamare le tendenze mainstream del jazz in una più ampia condivisione delle irregolarità dell’improvvisazione e in presenza di un livello minimo di composizione. “Prospect” riallaccia le sensazioni dei Kerouac di Jaeger, quelli magari meno nostalgici di “Dance around in your bones” e più sbilanciati di “Outdoors”, rimembrando che il concetto di internalizzazione del jazz deve fare i conti con la necessaria scrematura qualitativa delle proposte, per allontanare il rischio che l’inventiva si crogioli nei suoni senza poter dare efficienti stimoli emotivi. In “Prospect” le cose riescono un pò ambiguamente, poiché se da una parte il contrabbasso carico e musicalmente presente di Sisera è il motore dell’improvvisazione democratica del quintetto, dall’altra lo svolgimento complessivo dei brani evidenzia ancora una carica di esuberanza che nuoce alla matura e consona riuscita dell’equilibrio delle parti. Un cammino utile potrebbe essere anche quello di abbassare i toni sulla spinta ritmica ed aumentare le dosi di quelle fasi dell’improvvisazione che incarnano una prospettiva contraria al mainstream puro, così come succede (seppur in maniera estremizzata) in pezzi gonfi di estensioni e modularità come “Warship requiem“.