John Trudell: in memoriam

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Source Own work Author D. Paul Stanford. User talk:DPaulStanford. public domain
In piena tempesta di rivendicazioni di ogni tipo, l’America della fine dei sessanta sopportava anche quella dei popoli indigeni, gli indiani ancora costretti a dover manifestare efficacemente per il possesso del territorio: nel 1969 una ben congegnata organizzazione di loro occupò la contesa Alcatraz e tale occupazione, tra lotte e conquiste, durò parecchio tempo; in quella sede, un uomo condiviso nelle caratteristiche genetiche tra Sioux e Messico, si fece carico di guidare la rivolta del gruppo: John Trudell non solo diventò il maggiore attivista per la causa dei diritti degli indiani d’America ma ci rimise persino l’intera famiglia in un incendio presumibilmente doloso della sua abitazione, perdendo moglie e figli. Se i tempi non permisero a John di proteggere efficacemente i propri familiari, quantomeno furono molto clementi con i risultati della lotta politica, che decretò per sempre il successo delle legittime pretese: Alcatraz, d’altronde, era il posto perfetto per le visuali metafisiche di un sioux che vedeva in quell’isola una sorta di incontaminata oasi di spiritualità lontana dal mondo complesso e perverso degli americani “importati”. Con lo scemare dell’attivismo, Trudell abbinò la sua propensione libera e senza compromessi di uomo audace, alla vita poetica e artistica, diventando ben presto un autore che coniugava il ricordo di una contesa politica e il suo effimero riscatto (ancora oggi nonostante l’enorme interesse sollevato le riserve sono ancora luogo di povertà); Trudell affrontò l’ingerenza musicale tentando di avvicinare la filosofia indiana e la realtà di vita americana come si fa in un sogno che vuole avverarsi, ossia concedendo su tutti i fronti. I suoi cds dei novanta, pezzi di debordante chiarezza poetica al servizio di una personale rielaborazione di elementi musicali che riflettevano gusti rock ed incontri avvenuti sulla sua strada, riproponevano la vitalità di costruzioni musicali che erano entrate in uno stadio di appassimento (una sorta di senilità che proveniva dalla scrittura dei suoi fautori): il reading alla Lou Reed, gli impasti chitarristici tipici dei Rolling Stones, il blues alla Hooker, la dolcezza tutta losangelina delle melodie migliori di Jackson Browne si ritrovarono perfettamente esacerbati in un pozzo di umanità, che veniva completato dal canto a supporto di Quiltman, un indiano vicinissimo a Trudell, a cui affidare il compito di tenere sveglia la provenienza.
Aka Graffiti Man (basato sul rock’n’roll), e soprattutto i suoi due antitetici lavori successivi, ossia Johnny Damas and me e Blue indians, imposero un musicista che era capace di rappresentare un percorso misto nell’espressione: da una parte fornire tinte forti, energiche e combattive, capaci di riepilogare una situazione, dall’altra provocare fascino attraverso tenui digressioni o riflessioni profonde sulla vita (musicalmente parlando, Johnny Damas and me è uno dei migliori e meno derivativi lavori rock del decennio dei novanta). Poi la vena si normalizzò e le pubblicazioni si diradarono: la poesia si manteneva viva ma la musica non reggeva più anche a causa di cattivi arrangiamenti. Questa circostanza diede spazio alle tesi di coloro che storcevano il naso per il leggero peso specifico delle interpretazioni di Trudell in campo tradizionale, che avevano preferito aderire in maniera pressoché costante alle regole della dorata produzione delle major discografiche, cosa che ben presto finì; fu proprio per uscire dall’anonimato che Trudell decise di collaborare lo scorso anno con il produttore svizzero Jonas “Kwest” Leuenberger con un lavoro breve e concentrato sulle possibilità della sua poesia in relazione alle tecnologie attuali; Through the dust tentava di allacciare mondi che viaggiavano in parallelo, quello conservatore delle sue origini, in cui “la luna e le stelle ci inviano benedizioni e il vento ci racconta le sue storie” e quello ultramoderno dei beats urbani dotato da Leuenberger, facendo convergere incredibilmente saggezza e senso della sconfitta.
La sua scomparsa deve far riflettere sulle proporzioni delle qualità della nostra società perché Trudell, a prescindere dalla errata considerazione di coloro che lo hanno visto solo come uno splendido pensatore dei nostri giorni e non come un vero poeta, ha cercato semplicemente di dare un alibi all’inconciliabilità: riesumare poeticamente la grandezza degli spiriti o delle forze naturali nelle loro componenti o esporre concetti che oggi sono in pieno disuso (onore, rispetto, dignità, etc.) usando la grammatica musicale e verbale dell’americano colto, è tentativo immane e coraggioso, che premia tutte e due le sponde (la ritualità e il rock), a ben vedere un’ambizione che solo i grandi artisti cercano di raggiungere.
Through the Dust
rambling through the dust i called my life
however or why ever what ever happened
as good as the good times were 
and the bad the bad times brought 
along with the worst the worst could do 
and did more than once
 
 
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.