Nella sempre più accanita rincorsa terroristica all’Occidente si cerca di fornire una spiegazione logica degli eventi che parta da lontano e sicuramente il beneficio di alcune libertà, ottenute prima con la forza e poi con l’economia, non possono mancare nella ricostruzione perversa di qualcosa che è semplicemente alla mercé di un più rilassato tempo di riflessione; naturalmente non si può limitare il problema alla libertà di movimento o di azione, ma è centrale portarlo alle libertà di natura psicologica; molti dazi costruiti nell’attuale situazione conflittuale sono il frutto delle politiche colonialiste che hanno attraversato la storia fin da quando gli uomini hanno conosciuto il potere di sottoporre al proprio dominio intere popolazioni. Dopo il picco filosofico conosciuto grazie ai Greci il mondo lentamente scivolò in uno stato di parassitismo della coscienza che arrivò persino ad oscurarla completamente: molte delle teorie Steineriane basano la rinascita dell’uomo cosciente in concomitanza con la venuta sulla Terra di Cristo, individuandone il motivo principale della sua incarnazione. Coscienza significò anche la nascita dell’arte e progressivamente dei diritti sopiti dei più deboli.
Le relazioni presentate trovano un nuovo luogo di espressione nella recente raccolta di tre composizioni di Lewis Nielson (1950), compositore americano passato persino dalle grinfie del rock’n’roll con un percorso per alcuni aspetti simile a quello di Zorn. Il pensiero sviluppato da Nielson è quello di comporre musica traslativa che, nelle sue più recenti evoluzioni, attraversa i metodi anti-semantici di Lachenmann o Sciarrino, con la pretesa di guidare in maniera sottile la trama musicale verso i lidi di un’improbabile ed intellettuale protesta. Riferendosi all’ampia letteratura lasciata da noti attivisti come Frantz Fanon, Rosa Luxemburg o Aimé Césaire, Nielson cerca di far scattare una scintilla del tutto particolare, che si sostanzia nel costruire un ponte tra la concretezza analitica dei predomini e un quasi impossibile tentativo di dialogo tra le parti in causa, con baricentro filosofico o letterario. In “Axis” le tre composizioni scelte da Nielson vertono sulla capacità di un quartetto di archi o di un comparto percussivo allargato di provocare specifici corto-circuiti aurali: Le Journal de Corps scritta nel 2010 per il Jack Quartet non solo rivela l’audacia interpretativa del quartetto ma anche come si possano scrivere ancora grandi brani nella contemporanea non appena si è ispirati: le tessiture trovate ricompongono forse uno stato di alienazione nuovo, moderno, fissato sulle vicende recenti, in cui alla musica si richiede il compito di esprimere ciò che viene descritto come “il rapace accrescimento del capitalismo oligarchico” e persino l’uso di una flebile vocalità nel finale del pezzo calza alla perfezione in un ritratto musicale completamente iscritto nel miglior linguaggio europeo contemporaneo; Tocsin, che rifletterebbe la forza d’urto di una folla in rivolta, con i suoi 6 percussionisti coordinati da Steven Schick, nasconde tabù di guerra nei segnali criptati della riflessione sonora.
Nella contemporanea ci sono cose che passano completamente inosservate, cosa che successe quando Nielson scrisse nel 2006 la “The crisis of coscience“, un’atto programmatico che è un goccia nell’ampio ventaglio di composizioni di Nielson (e che non viene proposta in questo cd della Mode R.); però quello che pare rivelarsi con Axis è un nuovo spessore emotivo a cui si è in obbligo di fornire adeguato spazio informativo.