
Tra le novità discografiche in Setola di Maiale qui vi propongo tre quartetti italiani, fisiologicamente differenti, ma che conducono verso un auspicabile concetto di rinnovamento vero del jazz.
Cojaniz De Mattia Feruglio Mansutti
Il grande drago
Sulle ali della fantasia liberata da un’immagine animale ben sfruttata anche nel mondo musicale, il quartetto Cojaniz-De Mattia-Feruglio-Mansutti del Il grande drago sfida i soliti abbinamenti classici della tradizione jazzistica e, grazie alla presenza di De Mattia, offre un’intesa flauto contro pianoforte, appoggiata da una sezione ritmica, su piani eclettici: ognuno porta le proprie esperienze, la propria sensibilità artistica e per tale via ne guadagna l’originalità della proposta. La piacevolezza che inebria l’ascolto del Il grande drago sta nell’organico rimuginare dei quattro musicisti: De Mattia (a cui è riferibile il progetto) sembra arrivare da un pianeta alieno, Cojaniz ha una raffinata tendenza blues, Feruglio e Mansutti si dividono tra repliche del sistema ritmico jazz ed assoluta libertà di espressione.
C’è uno strano connubio che fa rivivere sprazzi di vecchia improvvisazione rivestita totalmente a nuovo dalla volontà di creare una sorta di cameralità solo formale dell’espressione, scavando nei suoi tempi e nelle sue consuetudini, arrivando ad un solido studio di variazioni, 9 in tutto, più un brano che dà nel finale il titolo alla raccolta. Il fascino della concorrente partecipazione si trova nell’eccellente apporto dato alle improvvisazioni che offrono un’ancora di salvataggio plurima, poiché sono potenzialmente in grado di coinvolgere un ascoltatore di jazz tradizionale, un idiomatico amante della free improv, un progressista o anche un navigante nelle acque prospicienti della classica. Un lavoro che scivola con giudizio, una boccata di ossigeno nel marasma odierno di un certo tipo di improvvisazione che sembra aver rinunciato quasi completamente al veicolo melodico ed un esempio della totalità degli elementi da utilizzare nella tavolozza del jazz del ventunesimo secolo.
Conca Sanna Oliva Giust
Pow Gamra


Aghe Clope
Blind mind
La freschezza di una giudiziosa attività sperimentale nell’ambito improvvisativo, coinvolge anche un altro collaudauto progetto in casa Setola (stavolta in dualità produttiva con la Dobialabel), quello del quartetto Aghe Clope, che viene ripreso in una registrazione che è testimonianza di brani ricavati da performance del gruppo tratte essenzialmente da concerti svolti in Slovenia. Cover accattivante e improvvisazione spiritata sono le prime segnalazioni di un progetto musicale in cui è piuttosto importante l’elemento elettronica vissuto come sempre in funzione misteriosa: flauto o sax alto (Paolo Pascolo) in modalità pifferaio magico, oggettistica percussiva da campo indios (Stefano Giust), tastiere allucinate (Giorgio Pacorig) assieme agli specifici consigli di elettronica di vario genere (Andrea Gulli a nastri, sintetizzatore e laptop) hanno il compito di sostenere un movimento eretto come probabile rito in negativo della società attuale, in cui basta guardare a Jednou Nebe per verificare il prototipo di viaggio sonoro che si vuole raggiungere: sono sensazioni che allontanano di molto il jazz, lo proiettano trasfigurato in eteree e libere forme di linguaggio, comunque ribollenti di suoni. E’ come sentire gli Art Ensemble of Chicago dei sessanta immersi in una straniante sperimentazione, che ha però ancora una sua precisa godibilità. E già questo è di per sé un risultato allettante e concreto.