Fantasmi e trasgressioni

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Nel jazz quando si intercetta la parola “ghost” si fa subito mente locale su alcuni musicisti o gruppi americani che su spiriti, fantasmi e forze naturali attive hanno costruito la propria filosofia, elevandone i significati aldilà di qualsiasi radiosa idea religiosa: è immediatamente logico pensare ad Albert Ayler, alle pantomine degli Art Ensemble of Chicago o in tempi più recenti alla Ghost Trance di Anthony Braxton. Tutte queste esperienze musicali, pur nella loro evidente diversità, sono legate da un unico denominatore, che è quello di sfruttare il senso musicale a favore di una palese direzionalità dei temi verso ambiti gnostici legandoli indissolubilmente al sentiment della loro espressione.
Al fantasma musicale jazzistico si ispira anche il Ghost Trio formato da tre valenti improvvisatori italiani: Ivano Nardi, percussionista sensitivo romano, collante in passato di operazioni con Liguori, Urbani e Schiano; Silvia Bolognesi, contrabbassista senese sulle righe sempre alla ricerca di nuove esperienze improvvisative; e Marco Colonna ai fiati (clarinetti, sax baritono e flauto), uno di quei musicisti preparati che dovrebbe ricevere molto più credito sulle riviste specializzate di jazz di quanto ne abbia oggi. “Ghost Trio” è una registrazione live fatta al Centro d’Arte di Padova nel gennaio del 2015 ed è un tuffo rigenerante in quel tipo di improvvisazione che è memoria storica del free jazz statunitense.
Come accade spesso nell’improvvisazione e nell’anticonvenzionalità delle forme, la musica prodotta dal trio libra di luce propria e evidenzia che è possibile ricreare una magia autonoma dai modelli profusi dai mostri sacri americani, facendo leva anche sulla propria individualità europea. Il set è strutturato come un vero e proprio rituale in cui Colonna fa veramente scintille, lanciandosi in ripetute jam perdifiato (l’Opening è impressionante) mentre la Bolognesi sembra aver preso le sembianze del William Parker spirituale quando lei stessa non propone un ritmo-tema (vedi Walkin’ ghost). Quanto a Nardi, svolge un lavoro prezioso e puntuale, definendo le dimensioni del furore spirituale che contraddistingue l’esibizione, ma anche prestando attenzione alle vibrazioni più contenute e secche degli oggetti percussivi, offerte nelle pause di tamburi e rullanti.

Una dimostrazione di trasgressione musicale arriva da una gradita ristampa di uno dei primi progetti satellite condotti dal sassofonista Massimo Falascone nella Milano dei primi anni novanta. I Musimprop pagavano tributo al dadaismo e al collage musicale in un momento in cui tale moda era praticamente ai margini (lo stesso Zappa era rivolto musicalmente ad altre cose a quei tempi); assieme alla figura stabile dei sassofoni rutilanti di Massimo compariva un ensemble variabile: il fratello Paolo al contrabbasso e alla parte elettronica, Filippo Monico alla batteria, un inaspettato Roberto Del Piano impegnato alla chitarra elettrica e al delay, e in minor frequenza ed assiduità Edoardo Ricci, Stefano Bartolini, Giancarlo Locatelli e Angelo Contini.
“Unissued ’91-’92” raccoglie le registrazioni fatte al Barigozzi di Milano in quegli anni e propone una ricca miscela di musica alternativa frutto della messa in gioco di una serie di eventi che catalizzavano il mondo della “cultura” di quegli anni: le parodie dissacranti degli Squallor, la migliore portabilità del live electronics, i primi giochi televisivi a budget milionari o le trasmissioni di jazz delle radio private erano magnifici conviviali di creatività da utilizzare in progetti anacronistici perché profusi in nicchie come quelle del free jazz e della sperimentazione. C’è un preciso canovaccio nelle esibizioni dei Musimprop che vede Massimo Falascone fare la parte di un Akira Sakata italiano, sempre in tonalità aspra e lacerante, di contro ad un gruppo che eleva a bandiera di vascello le istanze della tecnologia: voci e spezzoni radiofonici o televisivi pre-registrati si incontravano con un live electronics combinato, in cui i musicisti avevano imparato quei tre o quattro trucchi vincenti
per dare forma alla loro improvvisazione. Sembra che queste registrazioni non trovassero un’etichetta disponibile alla loro pubblicazione permanente e l’oblio sarebbe continuato se Stefano Giust della Setola di Maiale non le avesse casualmente raccolte e prese in considerazione con la sua lente d’ingrandimento critica, ma vi posso garantire che esse anche a distanza di tempo reggono benissimo l’ascolto, direi che lo rendono quasi confortevole: in quelle operazioni c’è molta più umanità di quanto il progetto potesse far pensare, sono veicoli perfetti di ascolto alternativo per le serate invernali, un turbinio di volontà che mascherava un’idea precisa e intelligente da sviluppare.

Un’altra trasgressione viene da un trio imbastito in Sardegna nel 2013 per un concerto, costituito tra il violoncellista Maurizio Basilio, il percussionista Paolo Sanna e il chitarrista elettrico Fabrizio Bozzi Fenu. Immaginando che i tre strumenti suonati si trasformino in agenti chimici, si va alla caccia dell’equilibrio armonico di una possibile fusione cangiante degli elementi. Le point triple de l’eau raccoglie la sfida artistica di confrontare gli stati essenziali della materia per fornirne una probabile descrizione aurale di tipo descrittivo: se è vero che il punto triplo dell’acqua corrisponde all’equilibrio dei tre stati dell’acqua (gassoso, solido, liquido) in determinate condizioni di pressione e temperatura, è anche vero che è possibile simulare dinamicamente la bilancia dei possibili valori dei tre stati alla ricerca di punti di contatto che siano musicalmente significativi; in tal modo il punto triplo è solo un momento estemporaneo di ricongiungimento poiché la regola è descrivere gli stati precedenti o susseguenti. Per fare questo è necessaria un’impostazione diversa di violoncello, chitarra e percussioni, significa provocare una serie di scompensi sonori che si ricostruiscono strada facendo, aiutati da un minimale collegamento di elettronica; alcune tecniche non convenzionali vengono incontro ai tre musicisti che lavorano ad una biologia astratta del suono che produce in molti momenti risultati confortanti: vedasi la seconda parte di A l’extérieur des tubes e soprattutto la notevole Trou d’électron, che articola il pensiero musicale in maniera tensiva, con una psicosi convulsa da esperimento di laboratorio, capace di raggiungere inconsapevoli lidi armonici. Come in un bel racconto di chimica.

Kazuo Hono è stato uno dei danzatori pionieri della danza Butoh, una ramificazione del teatro giapponese contemporaneo: Hono è stato celebrato più volte per la sua arte (anche in Italia), concentrata sulla rivolta contro la guerra e l’accoglimento dell’impostazione occidentale della società giapponese. Plasmata su caratteristiche opposte alle danze giapponesi tradizionali, la danza butoh è qualcosa che potrebbe sconvolgere ed affascinare allo stesso tempo: in una struttura pilotata nel potere viscerale del butoh, la Miniatura obliqua di Paolo Sanna capta i suoi segnali, diventando l’asse centrale della sua sperimentazione. Music for a butoh dancer è il cuore dell’avventura che in sei movimenti si fa carico di scoprire un clima di cultura e di suoni futuristici; nei ritmi e nelle catene di risonanze provocate da battenti e raschietti su lattine, piatti o gongs, le orecchie fini rileveranno che la ripetizione o lo stridore del gesto fisico che strofina l’oggetto percussivo, porta ad una serie di accadimenti sonori che dettano un tempo oggettivo, aprono confini del suono e portano contributi alla ricerca sonora sui metalli. In quest’esperienza Sanna fa ricorso anche al field recordings, donando maggiore enfasi spaziale all’iniziale ed ipnotica Zhou (nonché in misura minore a Water Gamelan), mentre un piatto preparato da Giacomo Salis accompagna l’evoluzione plumbea di Birth, che potrebbe essere scambiata per una composizione lavorata con l’elettronica se invece non si sapesse che è tutto rigorosamente acustico ed improvvisato.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.