Paul Moravec: Violin concerto

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In Moravec’s violin concerto the score given to the violinist Maria Bachmann is long and essential, and much of the pathos of the concert is determined by her skills; revised in 2013, the Violin Concerto features an unexpected and excellent execution of the Symphony in C (from Camden with Milanov conduction), and recreates the descriptive image of classic violin concerto, with a meaningful subjectivity that moves between the impressionistic loss, the austerity of the romanticism and the sweet torment of the soundtracks of Charlie Chaplin’s films. 
After The Time gallery and Tempest Fantasy we are able to listen to another Moravec highpoint.
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Si discute molto sul termine “nuovo” ed in verità spesso anche senza fissare perbene i termini della questione: nella pratica della composizione questo imperativo ha assunto forme proverbiali, mentre contemporaneamente c’è chi si plagia, con tanto di argomentazione, nell’altrui espressione. Terry Teachout, un critico americano parecchio vicino all’esperienza tonale, coniò la terminologia “new tonalists” in un settore della composizione statunitense che sembrava rinverdisse i fasti delle epoche romantiche e neoclassiche; nello specifico il termine venne usato per catalogare la musica di Paul Moravec (1957), compositore di Buffalo, che in più riprese ci tenne a dare anche dei chiarimenti sui significati romantici attribuitigli. Moravec, specializzandosi nelle composizioni per ensemble e per orchestra, è diventato un punto fisso nella ampia maglia di compositori in cerca di una semplicità musicale, e ha coronato i suoi obiettivi vincendo anche il Pulitzer Price con “Tempest Fantasy“, una composizione da camera che si basava su una reinterpretazione del testo di Shakespeare. Di Moravec esiste già un corpo musicale che ha avuto la fortuna di essere immortalato in una registrazione e soprattutto grazie alle chiare ed invitanti registrazioni della Naxos, che oggi è possibile disporre dei suoi highpoints; gli impianti di Moravec non sono assolutamente un copia ed incolla di stili precedenti: se si ha la pazienza di non appoggiarsi a nessuna deterrente opinione, si noterà come Moravec abbia attinto a fonti diverse, amalgamandole in una sua formula che può tranquillamente essere vittima di quanto sviluppato nelle orchestre fino ad inizio novecento (da Stravinsky a tutto il movimento orchestrale americano). Specie nella fase melodica ed armonica, il compositore si rivolge a grappoli di note specifici di compositori di epoche diverse, da Bach a Stravinsky, da Vieuxtemps a Debussy, una miscela che non disdegna anche scampoli melodici popolari; a tal proposito e come affermato dallo stesso compositore, i Beatles sono una sua ispirazione, sebbene l’avvertimento è di non cercarli in una ipotetica parte violinistica, in una simulazione da Eleanor Rigby, quanto proprio nel frammento melodico. Lavori come Open secret, Circular dreams, The Time Gallery (probabilmente il suo capolavoro) e in generale in maniera omogenea tutta la composizione dell’americano, libera una gradevolezza dell’ascolto che si percepisce nelle pieghe dei pezzi composti, sviluppi in cui si respira una vitalità che teoricamente dovrebbe andare in contrasto con un ripescaggio del passato musicale: Moravec sa girare nella partitura, la sa rendere accattivante, anche con qualche passaggio non pienamente ortodosso (Carter o Hindemith), con il solo scopo di raggiungere uno degli scopi principali del fare musica, ossia mixare le due fondamentali forze dell’esistenza umana, divisa tra la nostalgia del ricordo e lo spirito della continuazione, quasi in una distinzione musicale brahmsiana.
Nella nuova pubblicazione della Naxos possiamo stabilire un trait d’union diretto tra il compositore e la violinista Maria Bachmann, in quanto tre dei quattro pezzi sono per lei dedicati: è il Violin Concerto che giunge a prima registrazione, più Evermore, un breve ed intenso cameo neo-romantico, e Equilibrium, sette minuti di elegiaca rappresentazione di piano e violino. Il concerto per violino, diviso in quattro movimenti, tiene banco e suscita riflessioni sulla possibilità di inserire il concerto nel gotha dei concerti per violino classici degli ultimi decenni: Moravec ha scritto concerti per clarinetto (dalle chiare ascendenze jazzistiche), per cello (Matt Haimovitz si espresse al meglio nel progetto austero della Boston Modern Orchestra Project), per piano (c’è una partitura ma non una registrazione disponibile). Questo al violino è di quelli in cui la parte riservata al violinista è lunga ed essenziale, poiché gran parte del pathos del concerto si scarica sulla sua bravura; rivisto nel 2013, il Violin Concerto si inoltra nell’inaspettata ed ottima esecuzione della Symphony in C di Camden diretta da Milanov, che restituisce l’immagine descrittiva del concerto per violino, una pregnante soggettività che lavora tra gli smarrimenti impressionistici, il tenore austero del romanticismo e uno struggimento che ricorda le colonne sonore dei films di Charlie Chaplin.
E’ nell’interesse per le relazioni umorali che dunque viene intavolata la formazione mista di Shakuhachi Quintet, in cui il quartetto Voxare String quartet incontra il maestro James Nyoraku Schlefer: in questa sede è evidente come Moravec abbia voluto privilegiare l’aspetto timbrico del componimento, imbastendo una tessitura che si contrappone tra culture diverse, formando differenze ed inusitate sovrapposizioni, regalando piacere tramite la corrispondenza non ambigua di umori nostalgici (occidente) e pragmatici (oriente) al tempo stesso.