Chi ha la fortuna di avere amici compositori e di parlare con loro riguardo agli aspetti compositivi, saprà certamente come molti cerchino di infondere negli esecutori un pensiero subliminale che si possa accompagnare alle note della partitura: è un attributo dello score del tipo “..quando suoni queste note pensa ad un treno…”; concetto sviluppato nella musica contemporanea, esso svolge una funzione essenziale nella ricognizione delle capacità emotive della musica, qualora quest’ultima vada intesa secondo le prescrizioni reali di Matravers; molta dell’incomprensione che attraversa tutto il periodo musicale che va dall’atonalità fino alle più impervie sollecitazioni di un Lachenman o di un Evan Parker, passano nelle coltri di queste considerazioni che non hanno un’origine emotiva direttamente discendente del cuore ma, come l’arte moderna sa fare, cercano di evitare che l’effetto benefico duri per poco tempo. Sulla base di queste considerazioni si fonda anche gran parte dell’improvvisazione libera che ha raggiunto eguali risultati lavorando senza partitura o su partiture con ampi margini di discrezionalità per dar luogo a quella che molti non a torto vedono come una instant composition, ossia una composizione in tempo reale.
Carlo Costa, percussionista di Roma, è un altro illustre emigrato della colonia di talenti italiani all’estero. Vive e suona a New York da 14 anni e ha fondato una sua etichetta, la Neither/Nor Records, distribuendo i suoi primi cds e soprattutto distribuendo un’idea di valore; per lui ha registrato Frantz Loriot, il cui solo alla viola ho già acclamato in un articolo a parte e Flin van Hemmen (di cui me ne occuperò in seguito), mentre questa è la sede per sottoporvi i tre cds che Costa ha organizzato con collettivi diversi come conseguenza di una visione aperta della musica che accoglie in pieno le istanze di cui parlavo all’inizio. Carlo ha ospitato una parte dell’illustre gioventù improvvisativa di stanza a New York per un’operazione dichiaratamente protesa all’emersione di “materia” sonora che parimenti non si confonde anemicamente nel mare magnum di suoni che caratterizza una sessione di libera improvvisazione. Sono progetti che hanno tutti un unico denominatore, facilmente attribuibile alla stessa vena creativa e si orientano sulle bellezze acustiche che possono provenire da strumenti lavorati con tecniche non convenzionali. E’ un sistema che privilegia il gesto e la corrispondenza di un pattern sonoro, che si attarda nella spazialità dei suoni e soprattutto nella loro capacità di dialogo, in ciò ricalcando uno schema che va dalle risonanze di Scelsi fino alle espressioni elettroacustiche di Evan Parker (senza parte elettronica). Carlo, mostrando già un’ampia maturità, avvicina di molto quella sorta di simbolismo percussivo che unisce Oxley a Nakatani, dove si intaglia musica come un artigiano intaglia il suo legno, dove ogni suono riceve un codice di comportamento e parla in modo vitale a chi ha le orecchie pronte per percepire. La particolarità di Costa è quella di volare basso con le sue percussioni, senza clamore per lunghi periodi, rendendo i suoni protagonisti attraverso la loro evoluzione e silenzio, mettendo in condizione i partners di insinuarsi in questi ambienti minimali, attraverso delle innaturali e splendide strozzature delle loro sonorità.
Questi i tre cds:
1) “Sediment” (Carlo Costa Quartet), pubblicato nel dicembre del 2013, si indirizza su alcune transizioni fisiche visibili in natura (appassimento, polverizzazione, gonfiamento e scongelamento, ammollo e sgretolamento), con completezza dell’artworks che mostra un bellissimo dettaglio di un dipinto di Milivoj Uzelac, una rosa rossa in odore di astrattezza. Sediment affascina sin dalle prime note, aprendo uno scorcio sonoro in cui gli strumenti sembrano misteriosamente nascondere qualcosa (gli 8 minuti di Wither): frutto della collaborazione con Jonathan Moritz (tenore e sax soprano), Steve Swell (trombone) e Sean Ali (contrabbasso) che fanno funzionare il libero dialogo, fornisce la migliore anticamera della dimensione “contemporanea” della musica, intesa come equivalente nell’improvvisazione del linguaggio scritto. Qui tutto nasce in maniera spontanea ed autentica, una manna dal cielo per la soggettività delle azioni neurali.
Qui un estratto di un’esibizione a IBeam.
Qui un estratto di un’esibizione a IBeam.
“Rune” (Earth Tongues), registrato nel gennaio del 2014, svolge le operazioni in trio con Joe Moffett alla tromba e Dan Peck a tuba e riproduttore di nastri, indagando sulla porosità (Porous phase crea un contrasto enigmatico tra il borbottio della tuba di Peck e le operazioni atmosferiche di Moffett e Costa), sugli accecamenti solari (Sunblind è un misto di fastidio, scottature e rimaneggiamenti), sugli strati duri terrestri (Litosphere ha dentro di sé i postulati del pragmatismo e della ruvidezza interna ai suoni), sulle interiorità strutturali (Depths impegna i risvolti dinamici del sentire giocando sulle colonne d’arie o sugli effetti amplificativi).
Qui trovi 15 minuti della loro improvvisazione.
“Strata” (Carlo Costa’s Acustica), registrato live al IBeam di Brooklyn nel maggio 2014, è un progetto a 13 strumentisti* che ha l’obiettivo di documentare neuralmente strati rocciosi o del sottosuolo. Con una cover che riproduce caos fotografico, un collage particolarmente riuscito di Costa al photoshop, Strata è veicolo di stimolanti tessiture che appaiono in vesti cangianti in una suite di 44 minuti, dove ciascuna voce strumentale porta con sé un concetto personale sull’argomento: con Carlo che lavora certosino su piatti e tamburi sono pronti all’istante fiati che si spezzano o si trasformano in sibili meccanici, un piano che si fonde in poche note avvolte dal mistero o dal senso di avventura, due contrabbassi che tagliano le aree e producono tensione e al 30′ minuto una viola che atterra tra Schoenberg ed Eleanor Rigby. Strata è un vero e proprio viaggio nella personalità dei suoni, un gioellino che, grazie anche ad una registrazione impeccabile, vi fa sperimentare sensazioni di un mondo recondito senza il pericolo di perdervi in labirinti drogati su induzione della musica.
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Nota:
*Carlo Costa: percussioni/Sean Ali & Pascal Niggenkemper: contrabbassi/Jesse Stacken: piano/Todd Neufeld: chitarra acustica/Kyungmi Lee: flauto e piccolo/Joe Moffett: tromba/Ben Gerstein: trombone/Dan Peck: tuba/Jonathan Moritz: sax tenore e soprano/Nathaniel Morgan: alto sax/Jean-Brice Godet: clarinetti/Miranda Sielaff: viola.