Emerson, Lake & Palmer: la colomba, il boogie-woogie e l’orgoglio

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Il primo incontro con Keith Emerson avvenne dopo l’innamoramento subito dal fascino di una sigla di un famoso programma televisivo (Odeon): comprai il 45 giri in cui figurava l’oggetto del desiderio, l’Honky Tonk Train Blues di Meade Lux Lewis a cui dedicai ore di esercitazione pratica al piano per imparare la parte alla mano sinistra (uno spostamento di accordo ripetuto) e cercare la coordinazione con il solismo della mano destra (spazi ampissimi della tastiera). Era il 1976, ero un ragazzino ancora da svezzare musicalmente parlando, ma rimase lo stimolo, utile in età giovanile per scoprire il celebre pianista rock e il suo trio.
Sul posto occupato da Emerson-Lake-Palmer nella congrega delle formazioni progressive rock dei settanta se ne è fatto un gran parlare e se avete avuto tempo nella lettura di biografie o articoli introspettivi sugli artisti vi renderete conto della poliedricità dei giudizi; penso che spesso sono stati fatti errori di interpretazione su qualcosa che si prestava molto alle evanescenze di un commento personalizzato. Mettendo da parte il mito (che è un qualcosa che sempre disturba un’analisi accurata), non si può fare a meno di convenire su alcuni punti:
a) le capacità solistiche e la funzione attribuita alla musica: la sopravvalutazione del virtuosismo dei tre musicisti (con Emerson in prima linea) va vista non tanto come capacità tecnica ma creativa; il primo, omonimo, LP del trio, in tal senso, rimane una pietra di paragone, perché pullula più di idee che di tecnica; nell’evidente scopiazzamento della musica rock di quegli anni la proposta del trio si presentava con una credenziale superiore alla media, ossia quella di “commercializzare” la musica classica attraverso un suo trasferimento in quella rock, un passaggio citazionale ambizioso che avesse la forza di stimolare gli ascoltatori attenti di quel periodo. Si possono portare sull’altare del sacrilegio gli eccessi scenici e personali, ma ad operazioni come quelle andava dato solo il benvenuto. Questa funzione, che rivela un grande sensibilità artistica, è ciò che va compreso e rivalutato di Emerson (che metteva assieme Bach, Ravel o Mussorgsky con il rock’n’roll e il blues), di Lake (che si portava dietro la superficie dolorosa dei King Crimson) e Palmer (i cui sfondi in continui controtempo mostravano un sostanzioso favore per il libero jazz);
b) come in quasi la totalità delle carriere delle stars del rock progressive si può enucleare un picco artistico: in quella del trio (e per trascinamento delle rispettive carriere solistiche dopo lo scioglimento) Emerson-Lake-Palmer questo processo avvenne piuttosto rapidamente, così come veloce sarà lo scioglimento: la magia dell’omonimo album del 1970 in cui nacque effettivamente un sound ascrivibile al gruppo e per cui è facile immergersi in potenti soluzioni tra tastiere Moog e sintetizzatori appena concepiti, ritmica pulsante e una vena folk di proprietà di Lake, merita di occupare un posto tra i primi dieci album progressive di tutti i tempi; così come andrebbe rivalutato il progetto live su Mussorgsky, che viveva della scia creativa del momento. Già Tarkus faceva intravedere un abbassamento della qualità con la presentazione di stereotipi e alcuni evidenti narcisismi. Il recupero in positivo, ma non del tutto omogeneo, fu effettuato in Trilogy e Brain Salad Surgery, con un’appendice nei Works in due volumi che, di fatto, presentavano, filosofie solistiche e non di gruppo. Sulle brevi reunion solo un messaggio di normalizzazione poteva essere recepito per artisti che avevano cambiato voce e prospettive strumentali.
Le notizie pervenute sulla scomparsa di Emerson lasciano trasparire un decesso avvenuto per suicidio ed avviene a poco da quella “teatralizzata” di Bowie. Ho pensato ad un verso di Trilogy in cui si diceva:
I’ve sent this letter hoping it will reach your hand
and if it does I hope that you will understand
that I must leave in a while
and though I smile
You know the smile is only there to hide
What I’m really feeling deep inside
Just a face where I can hang my pride
 
E’ una generazione di artisti dalla forte personalità che sta morendo. Solitude standing.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.