La Requiem di Bernat Vivancos chiede asilo ad un passato ben determinato della coralità moderna e ne designa, allo stesso tempo, allungamenti ed aggiornamenti. Suddivisa in tre parti ideali, conduce a quell’incredibile smottamento emotivo che si subisce quando si accolgono le innovazioni e le intuizioni di quei compositori che, in un passato nemmeno troppo lontano, ne hanno gettato le radici: quanto a Vivancos (di cui avevo già speso il mio tempo in questo articolo, vedi questo link) si tratta di sistemare un’opera che, grazie alle prestazioni del top della coralità mondiale attuale (Lavtian Radio Choir diretto da Sigvards Klava) e ad alcuni accorgimenti tecnici, ha persino una sua autenticità ed autorità. In una confezione invitante curata dalla Neu Records, l’etichetta spagnola che si propone di fornire un elevato servizio di qualità al suono e alle sue componenti, Vivancos imposta un viaggio alla memoria del padre scomparso che sta tra periodo finale della vita, momento della morte e scoperta dell’intimità spirituale post-mortem; è una graduale rivelazione che si vuole rappresentare, utilizzando in maniera combinata molti riferimenti della sacralità pregressa. I primi due lunghi movimenti di Aeternam e Les Béatitudes colgono immediatamente il significativo ricorso ad una stesura mista, sia per i testi (dal francese al latino) sia per quanto riguarda le fonti musicali che ci immergono in una rinnovata fonte di benessere; queste vanno trovate nelle intuizioni corali delle Six Chansons di Hindemith, che scelse le poesie naturalistiche di Rilke come espressione di legami simbolici riferibili al sentimento umano interiore; ne stabilì una forza intrinseca direttamente collegata al suono, unico determinante delle relazioni fisiche degli eventi avvertiti; rispettando i canoni di una ricerca del massimo dell’espressività fornibile dal coro nella segnalazione funzionale dell’importanza del pensiero e del sentimento interiore, Vivancos coglie la riflessione scientifica di Hindemith spostandola in maniera diametralmente opposta sull’evento finale dell’esistenza e sulle sue conseguenze biologiche (qualcosa che si rappresenta in Lasciatemi morire).
Ma un secondo passo tra le fonti va fatto anche nell’accoglimento delle ineludibili tecniche fissate da Ligeti nel suo Lux Aeterna, laddove tra micropolifonia, stadi dinamici del canto e tessiture accecanti, si possono scorgere quei barlumi di creatività che sembrano persino non appartenere alla direzione occidentale della coralità; Vivancos si è nutrito molto dei consigli del suo maestro Thoresen riguardo al canto armonico e agli overtoni, così come è indubbio che lo stesso si sia ritagliato un proprio spazio ed abbia costruito in questa sede la migliore versione corale di sempre sulle Beatitudini, lavorando sul testo reso in francese di Matteo apostolo, migliorando l’omonimo tentativo di Arvo Part. Non sembra però che si voglia fornire una visione cattolica praticante delle rappresentazioni e sebbene nella requiem non ci siano elementi che facciano pensare al contrario, vi è al contrario una via contemplata dall’autore nel libretto e nelle poche interviste, che predilige una visione più ampia degli sforzi teologici, una dimensione che lo avvicina alle tematiche naturali (come già detto) e alle preghiere (cardini essenziali di una piena consapevolezza religiosa), nel senso illuministico ed escatologico vicino ad altra riflessione filosofica: in Souffle ta bougie usa un passo di Diderot e le sue giaculatorie potrebbero inventariare le soluzioni dei mistici della fede Bahà’i. In questa visione poliedrica non spaventa per nulla che la seconda parte della Requiem possa omaggiare il celebre tema madrigale di Monteverdi, detratto della parte strumentale antica ed ampliato a 15 minuti di pura estasi corale appena levigata da un rosa di violoncelli: c’è una trasposizione che migliora Part e Martynov, sebbene non si possa parlare di un holy minimalism.
Requiem dimostra lo straordinario talento di Vivancos e dello strapotere del Lavtian Radio Choir, e pur essendo incanalato in quella direttrice mistica e conosciuta proveniente dall’est europeo, vive di un suo progetto che è riassunto e lancio in avanti nel tempo: dilata i tempi, si fregia di ricostruire in un’unica matrice le innovazioni più eccitanti profuse nell’ambito corale, lavorando al massimo sulle armonizzazioni, sulle dinamiche e sulla capacità di trasferire quel pensiero filosofico razionale a cui evidentemente aderisce senza che esso possa rendersi invadente dal punto di vista musicale.
Questo doppio cd è di assoluto valore. Non è solo un percorso beato nelle profondità spettrali del canto, ma fornisce consigli, ricollega all’arte pura e proclama una tesi per la mai domata ricerca dell’essenza divina.