Jeppe Just Christensen: Songs & Movements

0
460
L’apprezzamento delle esibizioni degli artisti di strada è circostanza che spesso riteniamo scontata: con quel bagaglio di diavolerie e musica, questa razza, in procinto di essere proclamata estinta, lavora quantunque su un sentimento e per quanto ci riguarda su un suono possibile. Delle sonorità da baraccone ci rimane un ricordo estemporaneo, fatto di odori e appunto di suoni, dove gli stessi esecutori si guardano bene dall’attribuirgli ulteriori scopi oltre quello dell’intrattenimento; tuttavia quest’arte depistata in superficie lascia dei segni, soprattutto nella psicologia dei bambini che sono colpiti dai camuffamenti e dalle capacità dei loro avventori.
Il giovane compositore danese Jeppe Just Christensen (1978) fa parte probabilmente di quella schiera di bambini di cui si parla: sembra sia forte in lui il desiderio di riprodurre la vita artigianale del one man band (quell’uomo che suona con mille strumenti addosso) ma con la differenza di incarnare per esso un ragionamento musicale speculativo alle spalle. La recente monografia per la DaCapo R. si sofferma su tre composizioni del danese che sostengono questo stile bislacco e apparentemente in scarsa sintonia con l’acidità contemporanea, ma a ben vedere introducono un compositore interessantissimo, in possesso di una idea originale, quella che si serve dell’assemblaggio delle regole compositive di base per spolpare strumenti musicali poveri di materiale sonoro. Appositamente creati dal compositore, alcuni nuovi ordigni del suono replicano la movimentazione veloce dei violini di Paganini oppure riflettono sul rumore emesso da una paritetica percussione; ciò che si configura fa ricordare (per la mania costruttiva) Harry Partch che, in questo caso, prende le sembianze di un busker.
Nel cd che vi segnalo prende comunque più piede la direzione aggregativa di Christensen rispetto a quella singolare, e la valorizzazione della sua musica passa dalle provvidenze di un ensemble specifico all’uso (Scenatet): il compositore/musicista allora lavora in compagnia sugli accoppiamenti di melodica, toy slide guitar e toy piano, armonica diatonica, ukulele, lap steel guitar a pedale, sega ad arco e fischietti, portandoli a contatto con strumenti tradizionali suonati al limite della sopportazione melodica e ritmica. In “Three songs in 9 movements” si articola uno splendido controsenso del ben suonare, una contrapposizione nata da alcuni motivi folk che sgambettano il pensiero debole. Mai come in questo caso si vuole che poche note e poche mosse siano anticonvenzionali nell’atterrare l’ascoltatore in un’impensabile mondo di oggetti sonori in movimento che vivono la loro identità in presa diretta, suscitando quella “nuova costellazione” di sentimenti richiesta da Christensen, una circostanza che si rapporta non solo al mondo musicale ma anche a quello dell’immagine visuale implicitamente richiamata. Un riscatto incredibile per una serie di strumenti secondari, gadgets od oggetti giochino che fino ad oggi non pensavamo potessero avere tali capacità semantiche. Dovrò ricredermi sull’utilità delle pianole a fiato come mezzo didattico?
Articolo precedenteNuovi standard per la Requiem: il caso eccellente di Bernat Vivancos
Articolo successivoForze biomeccaniche ed oscure seconde vite
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.