Una delle strade di sviluppo presentatesi ai musicisti ambient è stata quella di un assorbimento della loro musica nelle realtà discretamente eclettiche delle culture ultime della musica, fondate sul battito campionato; situazione liminale partita a fine secolo scorso, documentò nuove fecondazioni della società musicale, lasciando la porta aperta ad un panorama sonoro percepito come ampliabile e disposto contemporaneamente verso la creatività e il peso della standardizzazione.
La collaborazione tra Steve Roach (l’amante della psico-acustica) e il ventottenne Robert Logan, oltre all’avvento conoscitivo, ha anche un risvolto di qualità: di Roach si conosce tutto, mentre di Logan si deve aggiungere che, in men che non si dica, è riuscito a guadagnare le pagine di The Wire; con 3 albums e parecchia attrezzatura minuta in Eps che vi invito a scoprire, Logan è un musicista di tutto rispetto che mostra una bravura non comune nel saper spingere su tecnologie, tagli e tessiture. La consumazione con le idee di Roach sposa comunque un principio ambiguo, in cui il trasferimento della personalità musicale ha seguito le volontà del blasonato artista americano: i due oggetti del contendere si chiamano Biosonic e Second Nature e sono manifestazioni di un pensiero musicale più ampio di quello che si potrebbe pretendere da un semplice connubio. Mentre Biosonic ci conduce a quell’arte iperrealista che ha tanto circolato nella sperimentazione elettronica e digitale della catena musicale non accademica, soprattutto a livello di ispirazione, Second Nature è un ritorno al surrealismo più classico del novecento. In Biosonic Logan assume un carattere predominante rispetto a Roach, forzando le distese dei synths con un invitante pool di effetti tecno, concrete music ed elementi da Idm; il disturbo provocato dalle tessiture di Logan è anche la forza innovatrice del progetto. Con titolazione che non si presta ad alcun equivoco, lo scopo ulteriore della musica di Biosonic non è solo quella di incrociare due stili, ma anche di sondare con mezzi attuali l’apoteosi umana dovuta agli effetti biomeccanici: esseri umani dotati di parti multiple, meccaniche che completano quelle di carne, di cui si studiano gli effetti e se ne carpisce il simbolismo. Invero un tema che affascinava già la rappresentazione artistica dei musicisti prog rock, imbevuti di un personale afflato mitologico, e dei registi impegnati nel genere fantascientifico quando alla ribalta della cinematografia mondiale prendeva piede il cinema di Ridley Scott e H.R. Giger, pervaso dalla disciplina degli effetti speciali. Facendo rientrare da un’altra angolazione il tema dell’immaginazione si mettono assieme particelle comuni di pensieri eterogenei e si lavora ad un’ennesimo trait-de-union tra musica, letteratura (si pensi a William Blake e a tanto simbolismo) ed arti visuali. L’operazione di Biosonic è dunque una sferzata nella carriera di Roach, mentre rientra nell’ordinaria amministrazione per Logan; il pericolo incombente di sopraffazione viene però immediatamente confutato in Second Nature, in cui si assiste ad una netta inversione delle parti, se non quasi l’annientamento: soffermandosi sulla capacità di elargire linee sintetiche e di un piano suonato in tendenza microtonale (l’unica concentrazione di Logan), sul delineare un linguaggio consono alla lunga carriera Roach ricaccia in un angolo il suo collaboratore e ritratta l’oscurità con la fantasia usuale dei viaggi neurali, frutto di quei rivolgimenti dell’anima a cui ci siamo abituati. Ma quel “poco” di Logan è un’arricchimento anche per lo “standard” di Roach.