Tornata sperimentale in casa Setola. Vediamo di addentrarci un pò.
La necropoli di Pantalica è una zona del siracusano famosa per essere un sito di interesse storico, archeologico e paesaggistico. Da lì è tangibile la testimonianza di un’età del bronzo, si possono incontrare grotte ed insenature affascinanti e percorribili e la zona si presta benissimo anche come oasi ambientale. E’ una riserva naturale che deve incantare per più motivi, così come ha ammaliato l’inglese Tim Hodgkinson, che in quel posto ha trovato ispirazione per imbastire un set musicale e naturalistico assieme a Davide Barbarino e Gandolfo Pagano, due musicisti siculi animati da stesse intenzioni e proiezioni; armati dei propri strumenti (Tim al clarinetto, Barbarino al sax alto e Pagano alla chitarra preparata), i tre si sono piazzati in una concavità in prossimità del fiume Anapo che attraversa la zona, piazzando microfoni alla stregua di un campo di registrazione. Con i loro strumenti hanno poi imbastito un’improvvisazione che potesse coagularsi attorno ai suoni naturali dello scorrere dell’acqua o del cinguettio degli uccelli, verificando in presa diretta quello che si può contrattare da uno scambio simbiotico con la natura.
Hodgkinson suona discreto, in decompressione e mai invasivo, comprimendo i timbri del clarinetto; Pagano usa la chitarra preparata senza nessun ritegno tecnico, fornendo un alibi a quei suoni di campanacci che spesso si sentono in lontananza in un paesaggio di campagna; Barbarino suona frammentato e spesso in opposizione contrappuntistica al clarinetto di Hodgkinson. Il sottofondo quasi costante del rumore del fiume che accompagna la performance, così come le pause tornite di rumori delle pietre e fruscii dell’erba, conferiscono un’aura di benessere all’ascolto. Il clima però non è agreste, ma cerca di recuperare una spontaneità, una magica soggettività musicale che possa lavorare di fino con l’ambiente. In questi casi è corretto parlare di improvvisazione ecologica.
Non è affatto semplice trovare una giusta combinazione in quella che Tim chiama arte dello squilibrio, ma per chi ha qualche conoscenza di field recordings, Pantalica può costituire già un avanzamento, perché non è semplice microfonazione e riproduzione, ma è accoglimento delle istanze strumentali, avviate in modalità improvvisativa; sono i connubi che donano timbri di risulta, colgono la diversità degli umori e la specialità dei momenti. E’ quindi dimostrato come suoni o rumori siano tutti disponibili in scala con un identico potenziale di emotività, ciò che conta è il rispetto verso essi: senza spremersi più di tanto il cervello il suono dello scorrere del fiume in Pantalica può diventare nella nostra immaginazione un accordo prolungato o dronizzato di synth, mentre il recupero dell’area come ecosistema diventa una certezza con un sistema improntato alla corretta proiezione acustica dei suoni.
Tom Djll è un trombettista californiano che, tra i molti progetti, ha dato vita nel 2004 ad uno di natura sperimentale chiamato Grosse Abfahrt (in inglese sta per great departure): si tratta di un gruppo di improvvisatori fissi (oltre a lui, John Shiurba, Tom Perkis, Gino Robair e Matt Ingalls) o variabili (Kjell Nordeson, Lisa Mezzacappa, Philip Greenlief, John Bischoff) della Bay Area, che invitano musicisti ospiti per un’improvvisazione real time adeguata ai sincronismi e all’ambientazione del posto. Una di queste perfomances, in cui l’invito è stato rivolto al tedesco Frank Gratkowski, è l’oggetto di un cd dal titolo improponibile (Luftschifffeiertagserinnerungfotoalbum): l’idea affrontata da Djll è quella di sviluppare un dialogo tra le parti rispettando alcuni fattori. Da una parte riconoscere l’identità sociale del gruppo ed offrire all’ospite un adeguato benvenuto attraverso la musica e poi, come lo stesso Djll ha dichiarato, uno degli scopi dell’aggregazione è migliorare senza compiacenze la fluidità dell’improvvisazione. Collezionista di foto d’epoca di dirigibili o aereonavi, Djll tenta anche di trasferire quel clima caustico ed avventuroso che i suoni possono tentare di avvicinare e certamente le stramberie ricavate dagli strumenti o da linee di live electronics aiutano al perseguimento e alla ricostruzione di un’esperienza simile. Se sulla novità dell’approccio, in prospettiva, si possono legittimamente nutrire dubbi, nessuna illazione può essere ricomposta sul tenore delle sensazioni riprodotte: qui c’è l’indispensabile per un ascolto intraprendente, un’equivalenza che si potrebbe stabilire nella lettura di un bel libro di Jules Verne o meglio di un documentario sull’Hindenburg, ma non tanto sbilanciato nella narrazione della sua parte finale tragica; l’idea qui è di scrutare le attività dell’equipaggio e la loro normale manutenzione.
Un loop simile ad una pressa da stampa in attività introduce il nuovo lavoro della cantante Patrizia Oliva. La sperimentazione di “Numen – Life of Elitra Lipozi” viene stavolta condotta tramite un vero e proprio collage compositivo che sistema al suo interno elementi di varia natura: suoni naturali e strumentali pre-registrati (tra cui flauto bawu e tape recorder), campionamenti appositamente trovati per dirigere la mente dell’ascoltatore ed una sorta di vago senso ipnagogico realizzato sul canto. Non è pleonastico rinverdire il significato del “numen” poiché da esso si possono comprendere molte cose del lavoro attuale di Patrizia: l’attinenza è specificata da un concetto di musica senza limiti che è una sub-funzione dei poteri divini; essa risiede nella forza della natura e delle sue manifestazioni, un’interposizione che ha molto a che fare con le contemplazioni infinitesimali di Feldman (senza però che Oliva replichi in nessun modo le sue angolature) e soprattutto con le teorie dell’epilessia musicogena di Oliver Sacks, da intendersi però nei suoi effetti, come lacerazioni possedute in qualche parte della memoria e provocanti un corto circuito neurale. In sostanza due lunghi assemblaggi: il primo è la Danse des fantomes, un disallineato affresco sonoro in cui oltre all’effetto pressa prima descritto, ci si incammina in un tortuoso cammino fatto di tagli e cuciture che rinfrancano senza ordine prestabilito bips di elettronica, campanelli, spezzoni sonori che sembrano tratti da un film noir, deliranti e brevi affermazioni politiche. Tutto ha un senso però: è un implacabile dichiarazione di crisi della società e di speranza del suo superamento al tempo stesso; da una parte Oliva sottolinea il clima plumbeo e a tratti lugubre dei nostri tempi, dall’altro consente, attraverso la frammentazione e il campionamento della sua voce, di trasmettere un soave ed utopico anelito di fiducia, specie nel finale. Il secondo assemblaggio A day long to è un invece un montaggio che incorpora quasi un respiro sinfonico grazie all’uso del synth, di accenni ad un canto jazz totalmente decontestualizzato (la stessa voce di Oliva viene loopizzata a sostegno), dove alla fine un prolungato canale di effetti campionati ed un flauto incorporeo precede la coda composta con le descrizioni sinestetiche di Sacks in persona. Mi trovate qualche vocalist femminile che in Italia si permette di fare cose del genere?
Un’accurata presentazione estetica di Alessio Bosco accompagna il progetto di Daniele Pagliero: Lo Dev Alm è il terzo cd registrato in Setola dal musicista torinese dopo Mangiacranio (con Stefano Giust del 2002) e Tape to cd (1995/97) pubblicato nel 2006. La musica di Pagliero è costantemente immersa nelle produzioni noise di carattere situazionista e la titolazione dello stesso progetto è un flash che l’artista ha ricevuto durante il lavoro svolto in fabbrica, dove la macchina riportava l’avvertimento “Low Device Alarm”. Forte sperimentatore dell’elettronica campionata, Pagliero spinge su un’esaltazione delle macchine e dei loro ambienti, per costruire una visionaria rappresentazione della realtà quotidiana; in Radio jamming si impossessa di un gran numero di programmazioni (su sintetizzatori, laptop o campionatori) mettendo ben in evidenza disturbi e voci dei ricevitori radiofonici: ne deriva un’amplificazione del rumore potente, che fa del fragoroso affollamento un rigoroso motivo di protesta: “…..the disturbance, the jamming, therefore takes on a broader value; dividing, on the edge of metaphor, every inhibitory act performed in every form of control, the dubious act of any administrative body which in every deprivation of education, culture and collective knowledge objectifies itself and its own authority…“. Coaudiuvato da Andrea Reali nella parte elettronica e Julia Kent che saltuariamente è chiamata in causa con il suo violoncello, Radio jamming contiene cose egregie: da Uno zero uno nove nove, dove vanno al diavolo le segreterie telefoniche in un contesto rivoltoso, a Post modern requiem, dove una sola nota campionata di pianoforte ed una serie di implacabili contorni ferrosi restituiscono molto più senso di molta modern classical odierna abbinata all’elettronica; in Jamming radio broadcasting, poi, si scava in un’oscurità furiosa e persa in una delirante deflagrazione degli elementi musicali. Tensione a mille.
Classified è una registrazione di una perfomance alla galleria d’arte dell’Atelier Giorgi a Torino, fatta dai Nervidi, un trio composto da Michele Anelli (contrabbasso ed elettronica), Dominik Gawara (basso e chitarra elettrica) e Stefano Giust (batteria, cimbali ed altri oggetti).
Qui il processo creativo è volutamente schizofrenico, ma la novella positiva è che sembra essere una dimensione fatta apposta per i musicisti coinvolti; nell’ascolto passano nella memoria, in maniera asincrona, pezzi di storia della musica e dell’arte: gli incubi delle distorsioni di Hendrix, la via espressionista degli artisti della SST Record o la tecnica a sguscio (il dripping) di Pollock.
Anelli e Gawara fanno un tour de force sulle corde, viaggiando su di esse in tutti i modi più eclatanti possibili, sia con tecniche di estensione che avvalendosi delle stranezze di un pò di elettronica viva. Giust, peraltro, dà una dimostrazione verace del suo talento: raramente ho ascoltato un batterista viaggiare alla velocità della luce quanto fa lui e in questo progetto ha la possibilità di farlo; e non deve nemmeno sorprendere la creazione vivida dell’anguish surrettizia, qualità che ebbi modo di scoprire nel solo di Ossigeno a Torino, durante gli esperimenti di Saori D’Alessandro. Sotto questo profilo Stefano è veramente unico.
Classified è improvvisazione libera che non conosce pause, deliberatamente atonale ed aggressiva (e per questo potrebbe non piacere), ma certamente di contenuto: quel rischio di insuccesso che si può presentare quando si cercano strade impervie con la sperimentazione, in Classified è totalmente annullato; altro che No more Pollock in the sky. Qui siamo tornati a terra.