Nella musica corale uno zoom immediato dovrebbe essere attivato nello stato dell’Estonia. Il motivo sta nel ruolo avuto in questi ultimi trent’anni di musica, in cui la coralità è stata al centro delle iniziative compositive e di un dominio europeo che è conseguenza di un’impostazione ben travasata temporalmente di alcuni argomenti: quando Bartok in Ungheria diventò il primo compositore-etnomusicologo a raccogliere canti religiosi e popolari, un signore di nome Cyrillus Kreek fece lo stesso in Estonia; personaggio totalmente sottovalutato nel mondo classico, Kreek si interessò delle antichità del canto del suo paese e ne cominciò a stabilire una prima armonizzazione.
Tuttavia il momento topico del mondo corale estone è stato sdoganato grazie ad un eccellente direttore d’orchestra di Tallin: Tonu Kaljuste fu in grado di porgere in visione una nuova modalità di rappresentazione della musica religiosa, che trattava gli insegnamenti di Kreek e di una serie di compositori estoni, con una purezza di intenti proverbiale: fin dalla metà dei settanta, Kaljuste rese visibile la composizione di autori della coralità segnati da un evidente autonomia stilistica come Veljo Tormis, Arvo Part, Lepo Sumera, Erkki-Sven Tuur, Toivo Tulev e più recentemente Helena Tulve; ha fondato un coro magnifico (l’Estonian Philarmonic Chamber Choir) ed un’orchestra da camera altrettanto affascinante (la Tallin Chamber Orchestra) e grazie ad etichette blasonate come Ecm R. e Bis R (che hanno inteso la bellezza delle proposte), ha reso possibile una più completa divulgazione dell’opera estone. Al pari di nazioni con un alto tasso di devozione nella ricerca tradizionale della coralità (gli impressionisti inglesi e gli ungheresi), il mondo estone dei cori ha alimentato figure dedicate all’approfondimento delle teorie di Kreek, tra cui spicca quella pionieristica ed innovativa di Veljo Tormis, che oltre ad aver costruito buona parte della composizione su uno stile unico di canto popolare antico di circa 3000 anni fa (il regilaulud), è passato attraverso l’impatto delle melodie popolari o degli inni religiosi di Kreek, giungendo alla creazione di un gioco armonico puro ed esteso, con una base mista tra tonalità e modalismo tutta vissuta sul protagonismo della folk song. Molta produzione di Tormis ha avuto la sua migliore rappresentazione proprio nella conduzione di Kaljuste.
Tuttavia il momento topico del mondo corale estone è stato sdoganato grazie ad un eccellente direttore d’orchestra di Tallin: Tonu Kaljuste fu in grado di porgere in visione una nuova modalità di rappresentazione della musica religiosa, che trattava gli insegnamenti di Kreek e di una serie di compositori estoni, con una purezza di intenti proverbiale: fin dalla metà dei settanta, Kaljuste rese visibile la composizione di autori della coralità segnati da un evidente autonomia stilistica come Veljo Tormis, Arvo Part, Lepo Sumera, Erkki-Sven Tuur, Toivo Tulev e più recentemente Helena Tulve; ha fondato un coro magnifico (l’Estonian Philarmonic Chamber Choir) ed un’orchestra da camera altrettanto affascinante (la Tallin Chamber Orchestra) e grazie ad etichette blasonate come Ecm R. e Bis R (che hanno inteso la bellezza delle proposte), ha reso possibile una più completa divulgazione dell’opera estone. Al pari di nazioni con un alto tasso di devozione nella ricerca tradizionale della coralità (gli impressionisti inglesi e gli ungheresi), il mondo estone dei cori ha alimentato figure dedicate all’approfondimento delle teorie di Kreek, tra cui spicca quella pionieristica ed innovativa di Veljo Tormis, che oltre ad aver costruito buona parte della composizione su uno stile unico di canto popolare antico di circa 3000 anni fa (il regilaulud), è passato attraverso l’impatto delle melodie popolari o degli inni religiosi di Kreek, giungendo alla creazione di un gioco armonico puro ed esteso, con una base mista tra tonalità e modalismo tutta vissuta sul protagonismo della folk song. Molta produzione di Tormis ha avuto la sua migliore rappresentazione proprio nella conduzione di Kaljuste.
La recente pubblicazione discografica per Ecm di Kaljuste è riconoscente al compositore Tonu Korvits (1969), un discepolo di Tormis che mostra una coralità ben allacciata agli impianti austeri di solisti ed orchestra. “Mirror” raccoglie 6 composizioni che fondono i due aggregati musicali di Kaljuste (coro ed orchestra): due di esse sono co-scritte da Korvits con Veljo Tormis, mentre si realizza la partecipazione aggiuntiva di Anja Lechner al violoncello e Kadri Voorand alla voce. La generazione di Tormis e Kaljuste si fregiò anche di una componente intellettuale in funzione anti-politica e di un cerchio culturale scomposto che comprendeva al suo interno la verve di poeti influenti, scrittori e giornalisti. Allora il compito di Korvits è quello di perpetuare le abitudini di un aggregato sociale e politico, inserendo poesie o pezzi nazionalistici nell’ambito delle strutture musicali. E’ così che poeti come Paul-Eerik Rummo (le pianure di Tasase maa laul fanno parte di un evidente simbolismo) o scrittori come Juhan Smuul (la splendida Viimane laev è purtroppo un’attualissima riflessione sul valore della vita) o Maarja Kangro (i sei movimenti di Seitsme linnu seitse und/Seven dreams of seven birds scritti assieme a Korvits, si intingono nei sogni bucolici vissuti nelle coscienze degli uccelli), sono soggetti invadenti in una struttura musicale semplice e misteriosa, a tratti marziana o purificatrice. Ed è nella forza corale che il lavoro naturalmente cresce di spessore e di intensità, mordendo di contrasto all’austerità mistica del violoncello della Lechner così come succede nell’angelica apertura di Peegeldused tasasest maast/Reflections from a plain, in cui ci sembra di galleggiare a cielo aperto; la conoscenza di Korvits, poi, si completa con Laburindid/Labyrinths, una bellissima suite per archi in sette parti colma di armonizzazioni modali, tanti chiaroscuri e persino risvolti minimalisti.
Non è improbabile pensare che il modello di sintesi estone, al netto del contributo popolare, provenga da un’aderenza alla sacralità romantica tedesca (la Requiem di Brahms è un leit-motiv che si percepisce tuttora in tutta la composizione corale estone), così come è evidente che principi nazionalistici e un rifiuto della dominanza russa, sono stati elementi che non hanno favorito una simbiosi con le tendenze sovietiche (solo Rachmaninov sembra suscitare oggi un certo interesse). Dal punto di vista della dimensione popolare non è errato pensare che in tutti i paesi delle Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania) il pensare “interno”, ideologicamente impostato ad un ferreo attaccamento alle proprie usanze, produca parecchia della migliore musica corale in circolazione nel mondo. L’esordio di Korvits per l’etichetta di Eicher è naturalmente riuscito e dà l’impressione che è possibile ancora regalare un futuro di buona musica per un tipo di composizione che può lavorare tra le connessioni interdisciplinari e la solennità di un arco, almeno fino ad oltranza.
Non è improbabile pensare che il modello di sintesi estone, al netto del contributo popolare, provenga da un’aderenza alla sacralità romantica tedesca (la Requiem di Brahms è un leit-motiv che si percepisce tuttora in tutta la composizione corale estone), così come è evidente che principi nazionalistici e un rifiuto della dominanza russa, sono stati elementi che non hanno favorito una simbiosi con le tendenze sovietiche (solo Rachmaninov sembra suscitare oggi un certo interesse). Dal punto di vista della dimensione popolare non è errato pensare che in tutti i paesi delle Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania) il pensare “interno”, ideologicamente impostato ad un ferreo attaccamento alle proprie usanze, produca parecchia della migliore musica corale in circolazione nel mondo. L’esordio di Korvits per l’etichetta di Eicher è naturalmente riuscito e dà l’impressione che è possibile ancora regalare un futuro di buona musica per un tipo di composizione che può lavorare tra le connessioni interdisciplinari e la solennità di un arco, almeno fino ad oltranza.