Pop, poesia sonora e linguaggio dialettale nei Building Instrument

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Nelle meraviglie dei fiordi norvegesi di Molde è custodita una delle residenze di Kurt Schwitters. Una semplicissima casetta in pietra con tetto a spiovente che potrebbe rammentare l’ambientazione delle favole English Fairy Tales di Joseph Jacobs (I “tre” porcellini). In questo piccolo paradiso presso Hjertoja, Schwitters dimorò assieme al figlio quando i nazisti decisero che la sua arte incomprensibile e provocatoria era pericolosa, costringendolo a lasciare Hannover e dopo molti anni di abbandono la casetta è diventata un centro permanente del ricordo culturale.
II “tre” ricorre anche quando si pensa ai componenti dei Building Instrument, combo norvegese che si trova proprio da quelle parti. Ma c’è qualcosa di più di una comunanza geografica tra il gruppo della cantante Mari Kvein Brunvoll e una parte della vita di Schwitters, poiché l’interesse verso il tedesco è qualcosa che coinvolge anche la musica e i suoi propositi strutturali. Il nuovo (secondo) cd per la Hubro R. va a fondo nel coinvolgimento di quella parte del pensiero di Schwitters rivolto alla poesia e alle sue caratteristiche; Schwitters fu uno dei primi artisti ad aderire al movimento lettrista posto da Isidore Isou nel suo manifesto del 1943, dove in quel proclama si forniva una visione completamente diversa della poesia, dettata dalla paura di un’usura delle forme poetiche riconosciute: si creò, dunque, la poesia sonora (più tardi divenne concreta o text sound), una poesia che basava i suoi principi fondamentali sulle parole senza senso, sui significati nascosti tra le lettere e sulle onomatopeiche.
Mari Kvein Brunvoll, Asmund Weltzien e Oyvind Hegg-Lunde hanno avuto modo di assecondare un progetto che riguardava l’artista tedesco per una commissione dell’Henie Onstad Kunstsenter (museo d’arte di Hovikodden, nei pressi di Oslo), e il nuovo cd dal titolo Kem som kan a leve (che dovrebbe stare per Chi sa come vivere) raccoglie queste moderne panoramiche del linguaggio che sono state la fonte di formazione di molta musica del secondo novecento (si pensi agli improvvisatori vocali o alle convulsioni espressive di Wyatt). Avendovi già parlato in passato delle qualità canore della Brunvoll (di cui sono totalmente affascinato) non ne farò menzione qui, mentre rimarco come Kem som kan a leve approfondisca il progetto musicale dei Building Instrument grazie allo spazio intermedio che unisce la vocalità e gli strumenti, una zona di attrazione che, stavolta, si fregia di ospitare al suo interno, oltre al sampling e gli effetti elettronici, anche la lingua dialettale e una serie voluta e ben scelta di incastri musicali ottenuti con strumenti etnici (kazoo, zither), che propendono per una variante armonica dei pezzi legittimamente destinata a durare nel tempo: Fall è una pop song che miete vittime a causa della sua bellezza naif, mentre Rett Ned (Verso il basso), accompagnata da un bel video di Simone Hooymans (vedi qui), è un invito è scoprire gli effetti panoramici di una dimensione visuale che gira in senso orario; così come in Farge tida sakte (Colora il tempo lentamente) l’incrocio melodico e la traccia di trip-hop formano un connubio neurale perfetto. Sono alcuni esempi di come, talvolta, la mancanza di significato immediatamente disponibile, sia un’affare. Qui si riscopre il candore dell’espressione, si respira un’aria che sa al solito di magia e di presidio naturalista, ma si sperimenta anche una benefica sinfonia di nenie e libere respirazioni che sono una modalità per comprendere il depistaggio di Schwitters. Ancora una volta, il suono è tutto.
Kem som kan a leve mi è purtroppo giunto in ritardo rispetto alla sua data di pubblicazione, ma certamente esso si sarebbe candidato per essere nella lista dei migliori cds del 2016; musicalmente, stende un ponte tra folk nord europeo, elettronica leggera e significatività progettuale. Per quanto mi riguarda da qui potrebbe ripartire una new simplicity della pop music.