Dimensioni letterarie, tedeschi sfortunati e vie della mistificazione

0
611
Nuova tornata Setola, con prodotti divisi tra compo-improv e compendi elettroacustici. Come al solito, musica super-stimolante e qualità altissima.
Marco Colonna -Bushido-
Sarebbe fruttuoso invitare i lettori di questa recensione alla consultazione della pagina facebook di Marco Colonna, e cercare i suoi sketches mattutini, in cui mette a disposizione di tutti le sue eclettiche esercitazioni, quel mettere in pratica le proprie costruzioni mentali e fisiche; si può avere l’impressione di avere davanti un nuovo Roland Kirk dei fiati. E’ un lavoro da grandi quello di Colonna, un alveolo di creatività che si lega alla sua vulcanica attività e ad un impegno che non manca nemmeno in Bushido. Questo lavoro è importante perché si può considerare un pò la summa del suo attuale pensiero, nonostante sia un lavoro totalmente suonato al sax baritono invece che al clarinetto, quasi sempre luogo da lui privilegiato; Bushido è un’opera d’arte in tutti i sensi, pensata per un collegamento interdisciplinare con i dipinti e la poesia, che ha già una valenza immediata in sede musicale, poiché raccoglie lo “spirito” di resistenza che in tante parti d’Italia sta tenendo intatta un certo tipo di cultura. E’ una comunità di artisti, scrittori, poeti, etc. che si riconosce in un ideale di mantenimento, che non si rassegna all’abulia che percorre la creatività odierna, preoccupata di dover canalizzare le proprie prerogative nei rivoli della decadenza culturale. In Bushido, la propensione del “guerriero” moralizzante (che penso di aver già individuato in miei precedenti interventi) viene integrata da abbinabili camei e preziosi camerali donati da compositori e musicisti italiani, artisti con i quali Colonna ha costituito negli anni un collante ideologico: si va da Giorgio Colombo Taccani ad Eugenio Colombo, da Massimo De Mattia a Gianni Lenoci, da Roberto Del Piano a Jacopo D’Amico, da Francesco Nurra a Silvia Bolognesi, arrivando a Francesco Massaro e Marie Incontrera; sulla condizione di arrivo di Bushido bussa alla porta il frutto dall’esperienza da caffè letterario fatta con il poeta Alberto Masala, le cui massime si trovano nel libretto annesso; in Bushido si è deciso di recedere però dal reading (i due si esibiscono spesso con questa modalità) e lasciare un puro e illimitato spazio immaginativo all’ascoltatore. Lascio al vostro, immediato buon senso, il riconoscimento del valore altissimo di Bushido (possibilmente con un equivalente immediato acquisto), poiché il tenore generale che si riscontra, segue una rotta che solo i coraggiosi hanno intrapreso: è coraggioso perché è un signor lavoro da baritono solista (il rapporto fatelo con i pochi, grandi dell’improvvisazione che avevano sufficienti idee da esporre in un’esperienza solistica), è coraggioso perché intercetta la problematica della continuità nel tempo della musica che ascoltiamo (creare un flusso che sia informato dal punto di vista della tecnica e delle emozioni), è coraggioso perché, con naturalezza, parla di noi (orgogli, virilità, passioni e sogni).
Neu Musik Duett (Guido Mazzon, Marta Sacchi) -Sounding lines-

 “…io sono un suono sul ciglio di una vita dove un blues racconta un desiderio e ciò che ne rimane poi…” (passo tratto da Heart 22).
Il clima letterario che passa nelle maglie dell’improvvisazione italiana può essere rintracciato anche nei recenti lavori del trombettista Guido Mazzon. Con la clarinettista Marta Sacchi, l’evocazione poetica di Mazzon ha ottenuto un rafforzamento ed una sua dimensione, un raffinato incontro che, con la scusa camerale, scintilla di trame liriche e trasversali. Il compito è facilitato dalla bravura della Sacchi, che in questo nuovo episodio del Neu musik duett dal titolo Sounding lines, alterna l’interazione tra strumento e linee elettroniche, creando spesso delle alternative saggiamente bilanciate ai patterns prolungati di Mazzon, come succede in The colour rises again o Underground memories; oppure propugna uno scambio di ruoli quando guida splendidamente l’impianto melodico mentre Mazzon al piano si immerge in sincopi contese tra istinti seriali e timbrici (Bubbles in the wind). Quella di Mazzon e Sacchi è un’inaspettata iniezione di modernità, è musica che proietta spiegazioni, che vive dei colori circostanti e delle nostre passeggiate pensierose, portandosi dietro una felicità del vissuto che è completamente asciugata dalla consapevolezza. Ed è il motivo per innamorarcene.
Alessandro Ragazzo -Terra d’ombra-

Di Georg Buchner, scrittore tedesco morto prematuramente nel 1837 a soli 24 anni, ci si ricorda purtroppo per l’incompletezza delle sue opere importanti: l’una è il Woyzeck (dramma teatrale portato al successo quasi un secolo dopo da Alban Berg). l’altra è il Lenz, un racconto composto da frammenti ricavati dall’altrettanto assurda esistenza dello scrittore citato (sovrastato dalla schizofrenia), legato al periodo classicista e allo sturm und drag. Lenz testimonia il viaggio che lo scrittore compie per giungere in Alsazia, nonché le vicissitudini psicologicamente sfasate della sua incresciosa permanenza, che si presumeva a scopo curativo. Del testo di Buchner si è innamorato Alessandro Ragazzo, un musicista di Venezia, che con molto acume, ha preso spunto dalla storia di Lenz e del suo pathos, per innestare la sua passione per il field recordings e la manipolazione elettronica.
Terra d’ombra è dunque una sorta di elaborazione del viaggio dove la ricostruzione musicale e la perniciosità della condizione esistenziale sono temi inscindibili, dove lo spunto del Lenz è necessità di individuare un percorso filosofico, che abbraccia relazioni non immediatamente visibili tra follia, esistenzialismo ed ecologia dei suoni. Ragazzo è intervenuto parecchio sul field recording iniziale, prendendosi la responsabilità di inserire contrasti di varia natura (da spigolosi turbini elettrici a subliminali ed irregolari droni), che compaiono dal nulla della struttura con tutta la loro sfacciataggine sonora. Si propone, così, una psicosi da Anti-Edipo così come illustrata nelle teorie di Deleuze e Guattari, sottolineando che la vera follia si trova nell’impianto sociale: la realtà di Ragazzo seleziona l’avversione, lascia molto presto il terreno delle normali sensazioni per immetterci in quella che chiama “perdita dell’io”, un’avventura che si perde nel puntellamento, nella dentatura di suoni e rumori che sicuramente vanno oltre una semplice rappresentazione di un racconto e sono il libero sfogo di un pensiero oscurantista.
Alessandra Novaga -Fassbinder wunderkammer-

Ancora Germania e figli del mondo maledetti nel nuovo LP della chitarrista Alessandra Novaga. Questa volta la milanese si concentra sulla figura ispiratrice del regista Rainer Werner Fassbinder e del suo confezionatore di soundtrack, Peer Raben. Fassbinder Wunderkammer è un personale tentativo di rielaborare con il proprio istinto e le proprie armi il carattere contrastante dei due riferimenti tedeschi: Fassbinder resta nel ricordo come un regista inquieto, catalizzatore politico e sociale dei disadattati, mentre Raben ha assecondato questa aggressività con musiche per films dal sapore disilluso, nelle orme della dolce mestizia di Brecht, in una categoria per colonne sonore nettamente contrapposta a quella di un Morricone o di un Herrmann. Si trattava di un neo realismo musicale su cui c’era già molta documentazione sonora in Europa, quello su cui Raben costruì l’amarezza di contrasto alle situazioni di Fassbinder. La Novaga acquisisce questo patrimonio e cerca di trasferire questi sentimenti miscelando motivi noti, elettroacustica (con interludi formati da spezzoni dei films opportunamente manipolati) ed avance chitarristica; così che Lola ne esce travolta rispetto all’originale, mentre la chitarra si deforma nelle sonorità di un violoncello amplificato in L.M.#1; oppure tende a combinazioni inedite come le distorsioni alla Hendrix e il liminale carillon di L.M.#2,  o instaurando una sovrapposizione in arpeggio in Serenade, che contrasta un andamento atonale. Persino Each man kills the thing he loves di Jeanne Moreau, viene spiritata come in una versione da White light/white heat. Il fascino di Fassbinder Wunderkammer sta, dunque, nella sua veste, che omaggia quel tratto tedesco, ma allunga anche il tiro sui rivolgimenti sonori di Alessandra.
Difondo -Sampler and zither-

Sergio Camedda e Giampaolo Campus sono due musicisti di Cagliari che condividono le relazioni elettroacustiche del laboratorio sperimentale di Franco Oppo a fine novanta. Il loro connubio è stato instaurato all’insegna di una singolare ricerca su due strumenti totalmente sbilanciati dal punto di vista timbrico: lo zither e il sampler. Il progetto, denominato Difondo, ha su Setola finalmente il suo riconoscimento e presenta 8 idee di compenetrazione, effettuate sui due strumenti opportunamente preparati: per lo zither vengono usate mollette o spazzole esterne che navigano sul corpo senza corde dello strumento, mentre il sampler viene organizzato nelle sue preparazioni, preimpostando le funzioni offerte dalla tastiera sintetica, in modo da ottenerle secondo gli scopi del musicista.
Sampler and zither diventa, perciò, un campionario di suoni e di gesti relativi, che realizza una pionieristica convergenza di due strumenti, trattati di solito in tutt’altro modo; lo zither viene spogliato di una delle sue caratteristiche principali (la metodologia dell’approccio etnico di qualsiasi discendenza), mentre il sampler svolge un meticoloso lavoro di proiezioni basato su poche configurazioni di note. E’ così che si scoprono degli incredibili incroci melodici in Strisciato, dove si confondono i mestieri di un eclettico improvvisatore radicale e di un pianista di modern classical, oppure si costruiscono addensamenti timbrici in un solo senso, come succede in Gong, dove la preparazione al piano apre a scenari contemporanei e lo zither realizza la visuale di un improbabile mondo del suono, finalmente estratto e riportato in vita.
Luca Pedeferri Contemporary Project -Meditations on Ustvol’skaja-

Tra i vari significati che si possono attribuire al termine “scalare”, ve n’è uno che invoca una disposizione crescente o decrescente di oggetti o persone; ciò significa che è possibile comporre degli ordini parziali che a ben vedere, possono anche unirsi tra loro in una soggezione più ampia. La Galina Ustvolskaja del primo periodo (quello delle sonate e dei preludi) ne avrebbe potuto incorporare a perfezione questo significato: note singole o in coppia che lentamente camminano sulla tastiera in cerca di una scala mai precisa, che ha come metafora liminale la costruzione di un concetto di solitudine descrittiva. Il progetto di Luca Pedeferri, pianista di Lecco, dimostra che è possibile trasferire quelle note e la loro suggestione come semi in un contesto jazzistico moderno. Ottimo esecutore dei Preludes della compositrice russa, Pedeferri imbastisce un quintetto (Lionello Colombo ai sax, Enrico Fagnoni al contrabbasso, Mauro Gnecchi alla batteria e Marco Menaballi alla parte elettronica) che crea un vero e proprio sviluppo intorno alle note della partitura di Galina: è una trasposizione inedita a cui viene data la migliore collocazione nello spazio imparentato con il jazz. Con un ordine scomposto nella numerazione dei preludi (che implica probabilmente anche una loro modularità), gli echi della Ustvolskaja producono fermenti: il preludio 6 evoca Zappa, il preludio 3 mixa Jarrett e Shorter, il numero 5 tende la mano a McCoy Tyner e al free jazz.

Meditations on Ustvol’skaja è una riuscitissima crociata pro-Galina, che evidenzia il valore di Pedeferri e di tutti gli elementi della sua band, legittima con forza l’autonomia progettuale e insinua una prospettiva a largo raggio di compresenze beyond jazz, come succede nel preludio 8 (con una parte elettronica ambientale che ricorda Loscil) o nel mezzo del preludio 10 (dove la batteria propone sentieri contemporanei). Certamente da sistemare nelle parti alte del jazz italiano.